I lavoratori precari hanno diritto a percepire
gli incrementi stipendiali spettanti ai lavoratori a tempo indeterminato?
La tematica del
precariato nella Pubblica Amministrazione è tanto triste quanto complicata. Si tratta
di una problematica caratterizzata da mille sfaccettature, ognuna delle quali
spesso si traduce in una violazione ai danni dei lavoratori che si trovano in
questa situazione.
In molti,
negli ultimi giorni, ci hanno posto la domanda che segue.
I lavoratori precari hanno diritto a percepire
gli incrementi stipendiali spettanti ai lavoratori a tempo indeterminato?
Il problema
nasce perché per i precari il rapporto di lavoro prosegue mediante il
susseguirsi di illegittime ed innumerevoli proroghe, le quali – il più delle
volte - prevedono sempre il medesimo
trattamento economico iniziale.
Detti lavoratori,
dunque, percepiscono per anni la stessa retribuzione senza mai vedere
incrementato il proprio stipendio. E mentre lo stipendio dei colleghi che
svolgono le stesse mansioni (assunti però a tempo pieno) aumenta
periodicamente, la loro retribuzione resta perennemente uguale.
Per dirla in
altri termini, la retribuzione di un lavoratore precario – troppo spesso – non è
commisurata al trascorrere del tempo, né al conseguimento di una maggiore
professionalità: essa – fintanto che il rapporto di lavoro continuerà ad essere
"precario" – resterà immutata.
Ciò posto,
torniamo alla domanda iniziale.
Ebbene, la risposta
al quesito posto è affermativa.
Pertanto,
nonostante le violazioni che molto spesso vengono perpetrate, i lavoratori precari hanno diritto alla
stessa progressione stipendiale dei lavoratori assunti con contratto a tempo
indeterminato.
Cerchiamo di
comprendere perché.
A tal fine è
necessario tenere a mente cosa stabilisce la legge.
Ci si
riferisce, in particolare, all’Accordo
Quadro sul contratto a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE, attuata nell’ordinamento italiano con il Dlgs. n. 368 del 2001.
La normativa
citata stabilisce come obiettivo fondamentale quello di migliorare la qualità
del lavoro a tempo determinato garantendo il principio di non discriminazione. Ed infatti, la clausola 4 del
predetto Accordo Quadro (rubricata proprio "Principio di non
discriminazione") precisa che i
lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno
favorevole rispetto a quelli assunti a tempo pieno per il solo fatto di avere
un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato.
Detto principio,
per molto tempo dimenticato e violato, è talmente tanto importante da
legittimare chiunque ad invocarne l’applicazione nei confronti dello Stato italiano.
In tal caso,
infatti, il giudice nazionale sarà tenuto ad applicare integralmente il contenuto
del principio comunitario di non discriminazione,
eventualmente disapplicando le disposizioni
nazionali difformi.
Fortunatamente,
i giudici italiani – nell’ultimo periodo - stanno facendo corretta applicazione
di questo importantissimo principio. Tant’è che le più recenti sentenze [1] sul punto hanno stabilito che «in
mancanza di ragioni obiettive che giustifichino un diverso trattamento, il
personale assunto con contratto a termine ha diritto alla stessa progressione
stipendiale spettante ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato».
In particolare,
alcuni giorni fa, il Tribunale di Udine (con la sentenza n. 117 del 10.04.2017)
ha riconosciuto il diritto dei ricorrenti (precari della scuola) ad ottenere la
ricostruzione della propria carriera mediante
il riconoscimento integrale del servizio prestato con contratti a tempo
determinato, nonché a percepire gli incrementi stipendiali di cui al CCNL di settore. Il Miur è stato condannato,
dunque, al pagamento delle differenze retributive spettanti ai lavoratori precari
in conseguenza alla disposta ricostruzione della carriera.
Ciò detto, è
importante sottolineare che i dipendenti pubblici che hanno subito l’illegittima
precarizzazione del proprio impiego hanno diritto non solo al risarcimento
del danno.
Danno che si
compone di due elementi:
- - un’indennità forfettaria da
quantificare tra un minimo di 2,5 mensilità ed un massimo di 12
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
- un risarcimento per la c.d. perdita di chances, (cioè
per la perdita della possibilità, da parte del lavoratore, di vedere migliorare
la propria situazione).
Ma anche
a percepire gli incrementi stipendiali e, dunque, al pagamento delle differenze retributive conseguenti alla
ricostruzione della loro carriera.
[1] Cfr. ex multibus Trib. Udine
sent. n. 117 del 10.04.2017; Trib. Bergamo sent. n. 94 del 02.02.2017; Trib.
Macerata sent. n. 56 del 09.02.2017; Trib. Verbania sent. n. 18 del 07.02.2017.
Samperisi&Zarrelli Studio Legale
Produzione Riservata
Nessun commento:
Posta un commento