lunedì 24 aprile 2017

Lavoratori precari: il diritto al pagamento delle differenze retributive


I lavoratori precari hanno diritto a percepire gli incrementi stipendiali spettanti ai lavoratori a tempo indeterminato?

La tematica del precariato nella Pubblica Amministrazione è tanto triste quanto complicata. Si tratta di una problematica caratterizzata da mille sfaccettature, ognuna delle quali spesso si traduce in una violazione ai danni dei lavoratori che si trovano in questa situazione.
In molti, negli ultimi giorni, ci hanno posto la domanda che segue.
I lavoratori precari hanno diritto a percepire gli incrementi stipendiali spettanti ai lavoratori a tempo indeterminato?

Il problema nasce perché per i precari il rapporto di lavoro prosegue mediante il susseguirsi di illegittime ed innumerevoli proroghe, le quali – il più delle volte - prevedono sempre il medesimo trattamento economico iniziale.
Detti lavoratori, dunque, percepiscono per anni la stessa retribuzione senza mai vedere incrementato il proprio stipendio. E mentre lo stipendio dei colleghi che svolgono le stesse mansioni (assunti però a tempo pieno) aumenta periodicamente, la loro retribuzione resta perennemente uguale.
Per dirla in altri termini, la retribuzione di un lavoratore precario – troppo spesso – non è commisurata al trascorrere del tempo, né al conseguimento di una maggiore professionalità: essa – fintanto che il rapporto di lavoro continuerà ad essere "precario" – resterà immutata.

Ciò posto, torniamo alla domanda iniziale.
Ebbene, la risposta al quesito posto è affermativa.
Pertanto, nonostante le violazioni che molto spesso vengono perpetrate, i lavoratori precari hanno diritto alla stessa progressione stipendiale dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato.

Cerchiamo di comprendere perché.
A tal fine è necessario tenere a mente cosa stabilisce la legge.
Ci si riferisce, in particolare, all’Accordo Quadro sul contratto a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE, attuata nell’ordinamento italiano con il Dlgs. n. 368 del 2001.
La normativa citata stabilisce come obiettivo fondamentale quello di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il principio di non discriminazione. Ed infatti, la clausola 4 del predetto Accordo Quadro (rubricata proprio "Principio di non discriminazione") precisa che i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole rispetto a quelli assunti a tempo pieno per il solo fatto di avere un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato.
Detto principio, per molto tempo dimenticato e violato, è talmente tanto importante da legittimare chiunque ad invocarne l’applicazione nei confronti dello Stato italiano.
In tal caso, infatti, il giudice nazionale sarà tenuto ad applicare integralmente il contenuto del principio comunitario di non discriminazione, eventualmente disapplicando le disposizioni nazionali difformi.
Fortunatamente, i giudici italiani – nell’ultimo periodo - stanno facendo corretta applicazione di questo importantissimo principio. Tant’è che le più recenti sentenze [1] sul punto hanno stabilito che «in mancanza di ragioni obiettive che giustifichino un diverso trattamento, il personale assunto con contratto a termine ha diritto alla stessa progressione stipendiale spettante ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato».
In particolare, alcuni giorni fa, il Tribunale di Udine (con la sentenza n. 117 del 10.04.2017) ha riconosciuto il diritto dei ricorrenti (precari della scuola) ad ottenere la ricostruzione della propria carriera mediante il riconoscimento integrale del servizio prestato con contratti a tempo determinato, nonché a percepire gli incrementi stipendiali di cui al  CCNL di settore. Il Miur è stato condannato, dunque, al pagamento delle differenze retributive spettanti ai lavoratori precari in conseguenza alla disposta ricostruzione della carriera.

Ciò detto, è importante sottolineare che i dipendenti pubblici che hanno subito l’illegittima precarizzazione del proprio impiego hanno diritto non solo al risarcimento del danno.
Danno che si compone di due elementi:

-        -  un’indennità forfettaria da quantificare tra un minimo di 2,5 mensilità ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
- un risarcimento per la c.d. perdita di chances, (cioè per la perdita della possibilità, da parte del lavoratore, di vedere migliorare la propria situazione).

Ma anche a percepire gli incrementi stipendiali e, dunque, al pagamento delle differenze retributive conseguenti alla ricostruzione della loro carriera.




[1] Cfr. ex multibus Trib. Udine sent. n. 117 del 10.04.2017; Trib. Bergamo sent. n. 94 del 02.02.2017; Trib. Macerata sent. n. 56 del 09.02.2017; Trib. Verbania sent. n. 18 del 07.02.2017.

Samperisi&Zarrelli Studio Legale
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