Per la prima volta in Italia una coppia
omosessuale può avere un figlio grazie alla maternità surrogata.
«I figli sono di chi li cresce».
E su questo non c’è dubbio.
I "dubbi" sorgono nel momento ci si
domanda se a crescerli possano essere due persone dello stesso sesso.
Si tratta di un interrogativo la cui risposta
implica – ormai da tempo – dibattiti e polemiche.
Polemiche che l’ordinanza emessa alcuni giorni
fa dalla Corte di Appello di Trento [1] ha contribuito ad accendere
ulteriormente.
Con la predetta ordinanza i Giudici hanno
stabilito – per la rima volta in Italia – che una coppia di uomini
omosessuali può avere un figlio grazie alla maternità surrogata, con
conseguente riconoscimento della paternità di entrambi.
Secondo la Corte di Appello di Trento negare
ad un bambino di avere due genitori vuol dire ledere i suoi diritti
fondamentali di essere umano. A detta dei Giudici, inoltre, sono la volontà
di cura e l’assunzione di responsabilità a rendere genitori, più
del legame biologico.
Così ragionando, con l’ordinanza in parola i giudici
[2] hanno decretato che due gemelli, nati negli Stati Uniti
grazie alla procreazione assistita, possono avere due papà:
uno biologico e l’altro no, ma entrambi con lo status formale di genitore.
Si legge nell’ordinanza destinata a passare
alla storia che «è da escludere che
nel nostro ordinamento ci sia un modello di genitorialità esclusivamente
fondato sul legame biologico fra il genitore e il nato. All’opposto
deve essere considerata
- l’importanza assunta a livello normativo dal concetto
di responsabilità genitoriale che si manifesta nella
consapevole decisione di allevare ed accudire il nato;
- la favorevole considerazione da parte
dell’ordinamento al progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla
presenza di figli anche indipendentemente dal dato genetico, con la
regolamentazione dell’istituto dell’adozione;
- la possibile assenza di relazione
biologica con uno dei genitori (nel cado di specie il padre) per i
figli nati da tecniche di fecondazione eterologa consentite».
Si tratta di una pronuncia sì destinata a fare
storia, ma anche ad infuocare un dibattito che difficilmente verrà sopito.
[1] Corte d’Appello di Trento, ordinanza
del 23.02.2017.
[2] ponendosi in linea con il filone giurisprudenziale
inaugurato con la sentenza della Corte di Cassazione n. 19599/2016
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