sabato 4 febbraio 2017

«Il termine omosessuale non è offensivo»


Il termine omosessuale non è offensivo, di conseguenza definire una persona tale non "fa scattare" il reato di diffamazione e ciò vale anche qualora il suddetto appellativo sia usato con intento denigratorio.
Ad affermarlo è stata la Corte di Cassazione [1]  che, con una recentissima sentenza, ha fatto chiarezza sul punto.

Prima di analizzare cosa ha statuito la Suprema Corte facciamo un passo indietro e vediamo in cosa consiste il reato di diffamazione [2].
Detto reato consiste nell’offendere la reputazione di una persona in assenza della persona offesa ed alla presenza di più persone. Il requisito della pluralità delle persone è integrato dalla presenza di due o più soggetti, anche qualora questi non percepiscano “simultaneamente” l’offesa, ma in momenti distinti (si pensi al c.d. “passaparola”).
La diffamazione si distingue dalla attigua fattispecie dell’ingiuria, perché nel primo caso l’offesa è destinata ad una persona assente o, comunque, non in grado di “cogliere” l’offesa mentre essa è pronunciata. Nella seconda ipotesi, invece, l’offesa avviene “al cospetto” della persona offesa, posta quindi nelle condizioni di percepire “simultaneamente” la stessa.
In entrambi i casi viene proferita un’offesa.

Ma dare a qualcuno dell’omosessuale significa offenderlo?
Ecco cosa ne pensa la Cassazione.
A detta dei giudici, per fortuna, i tempi sono cambiati ed al giorno d’oggi – a differenza di quanto poteva avvenire in passato ­rivolgersi a qualcuno con l’espressione «omosessuale» non integra il reato di diffamazione.
Detto termine non è offensivo.
È un termine neutro, atto semplicemente ad indicare le preferenze sessuali di una persona e pertanto assolutamente inidoneo a lederne la reputazione.
Spiega la cassazione: «Nel presente contesto storico» è da escludere che «il termine omosessuale abbia conservato un significato intrinsecamente offensivo come, forse, poteva ritenersi in un passato nemmeno tanto remoto». Aggiungendo: «questa parola - diversamente da altri "appellativi" che invece mantengono un carattere "denigratorio" - è entrata nell'uso corrente e attiene alle "preferenze sessuali dell'individuo", assumendo di per sé "un carattere neutro" e per questo non è lesiva della reputazione di nessuno».
Tanto vale, a detta dei giudici, anche se il suddetto termine è usato con intento denigratorio o nei confronti di una persona eterosessuale (o presunta tale).
In conclusione, verrebbe da dire che chi spera di offendere qualcuno usando questo temine dovrebbe forse ampliare il proprio vocabolario, rendendosi conto (senza offesa !!!!) di avere una mentalità  non proprio al passo coi tempi!




[1] Corte di Cassazione – Sezione V - sentenza n. 50659 del 29 novembre 2016.
[2] Art. 595 c.p., ai sensi del quale: «Chiunque (…) comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate

Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate».


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