sabato 4 febbraio 2017

Abuso del precariato e diritto al risarcimento del danno

Il dipendente pubblico, il cui contratto a tempo determinato sia stato rinnovato più volte, ha diritto al risarcimento del danno.

Il contratto di lavoro a tempo determinato nasce dalla volontà del legislatore di sopperire ad esigenze produttive ed organizzative temporanee e costituisce un’eccezione alla regola (che è quella dell’assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato).
Il nostro ordinamento, infatti, ha da sempre affermato il principio della normalità del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e della eccezionalità, invece, di quello a tempo determinato.
Per questo motivo, la stipula di contratti a termine deve essere soggetta a dei limiti, superati i quali si determina un abuso ed una situazione di precariato illegittima vietata non solo dalla legge italiana, ma prima di tutto da quella dell’Unione Europea [1].
Tale situazione di illegittimità non è sfuggita alla Corte di Cassazione che, pronunciandosi anche a Sezioni Unite [2], ha stabilito il seguente principio: in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una Pubblica Amministrazione, il dipendente ha diritto al risarcimento del danno.

Chi può chiedere il risarcimento del danno?

Possono chiedere il risarcimento del danno tutti i lavoratori del pubblico impiego che hanno sottoscritto, nel corso degli anni, contratti di lavoro a tempo determinato per una durata non inferiore a 36 mesi, anche non continuativi.

A quanto ammontano le cifre del risarcimento?

Coloro che hanno subito la proroga reiterata di un contratto a tempo determinato hanno diritto a un risarcimento di un valore che può oscillare da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità, a seconda dell’anzianità di servizio, del comportamento delle parti e degli altri criteri fissati dalle regole sul rapporto di lavoro.
Questa forma di tutela, secondo la Corte di Cassazione, è necessaria al fine di rispettare gli obblighi europei che impongono alle leggi nazionali di contrastare l’abuso del precariato.

Il “precario a vita” ha diritto alla “stabilizzazione”?

Secondo l’orientamento attualmente maggioritario, il dipendente pubblico che abbia subito l’illegittima precarizzazione del proprio impiego non avrebbe diritto alla conversione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.
A detta conversione osterebbe la c.d. “regola del concorso” per accedere al pubblico impiego. I sostenitori di questo orientamento sostengono che se non ci fosse questo divieto, sarebbero minati sia il principio di imparzialità della pubblica amministrazione (visto che le assunzioni possono avvenire solo in forza di un pubblico concorso) sia il principio di buon andamento imposti dalla Costituzione [3].
Preme sottolineare che non mancano “voci fuori dal coro”, secondo le quali nulla osterebbe alla stabilizzazione dei precari del pubblico impiego, di tal ché la questione è attualmente al vaglio della Corte di Giustizia Europea.
In attesa che quest’ultima si pronunci, il consiglio per i precari del pubblico impiego è quello di ricorrere al fine di far valere il proprio diritto alla stabilizzazione e di ottenere il risarcimento del danno.
Quest’ultimo diritto, infatti, spetta automaticamente ai precari della pubblica amministrazione, i quali per ottenerlo non dovranno dimostrare alcunché (se non di aver subito illegittimamente una situazione di precariato protrattasi nel tempo).

Per ulteriori informazioni e chiarimenti, contattateci!




[1] Ci si riferisce, in particolare alla Direttiva 1999/70/CE del 28.06.1999, alla quale l’Italia ha dato attuazione con il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 e susseguenti modifiche (sino a giungere al D.lgs. n. 81 del 2015).

[2] Cfr., ex multibus, Cass. SS. UU. sent. n. 5072/2016 del 15.03.2016.
     
[3] Art. 97 Cost.


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