Il
dipendente pubblico, il cui contratto a tempo determinato sia stato rinnovato
più volte, ha diritto al risarcimento del danno.
Il
contratto di lavoro a tempo
determinato nasce dalla volontà del legislatore di sopperire ad
esigenze produttive ed organizzative temporanee
e costituisce un’eccezione alla regola
(che è quella dell’assunzione con contratto di lavoro a tempo
indeterminato).
Il
nostro ordinamento, infatti, ha da sempre affermato il principio della
normalità del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e della
eccezionalità, invece, di quello a tempo determinato.
Per
questo motivo, la stipula di contratti a termine deve essere soggetta a dei limiti, superati i quali si determina
un abuso ed una situazione di precariato illegittima vietata non solo dalla legge
italiana, ma prima di tutto da quella dell’Unione Europea [1].
Tale situazione
di illegittimità non è sfuggita alla Corte di Cassazione che, pronunciandosi anche
a Sezioni Unite [2], ha stabilito il
seguente principio: in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo
determinato da parte di una Pubblica Amministrazione, il dipendente ha diritto
al risarcimento del danno.
Chi può chiedere il risarcimento del
danno?
Possono chiedere il risarcimento del
danno tutti i lavoratori del pubblico impiego che hanno sottoscritto, nel corso
degli anni, contratti di lavoro a tempo determinato per una durata non
inferiore a 36 mesi, anche non
continuativi.
A quanto ammontano le cifre del
risarcimento?
Coloro che hanno subito la proroga
reiterata di un contratto a tempo determinato hanno diritto a un risarcimento
di un valore che può oscillare da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità,
a seconda dell’anzianità di servizio, del comportamento delle parti e degli
altri criteri fissati dalle regole sul rapporto di lavoro.
Questa forma di tutela, secondo la
Corte di Cassazione, è necessaria al fine di rispettare gli obblighi europei
che impongono alle leggi nazionali di contrastare l’abuso del precariato.
Il “precario a vita” ha diritto alla
“stabilizzazione”?
Secondo
l’orientamento attualmente maggioritario, il dipendente pubblico che
abbia subito l’illegittima precarizzazione del proprio impiego non avrebbe diritto alla conversione del
contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.
A detta
conversione osterebbe la c.d. “regola
del concorso” per accedere al pubblico impiego. I sostenitori di questo
orientamento sostengono che se non ci fosse questo divieto, sarebbero minati
sia il principio di imparzialità della pubblica amministrazione (visto che le
assunzioni possono avvenire solo in forza di un pubblico concorso) sia il
principio di buon andamento imposti dalla Costituzione [3].
Preme
sottolineare che non mancano “voci fuori dal coro”, secondo le quali nulla
osterebbe alla stabilizzazione dei
precari del pubblico impiego, di tal ché la questione è attualmente al
vaglio della Corte di Giustizia Europea.
In attesa che
quest’ultima si pronunci, il consiglio per i precari del pubblico
impiego è quello di ricorrere al fine di far valere il proprio diritto alla stabilizzazione e di ottenere il risarcimento del danno.
Quest’ultimo diritto,
infatti, spetta automaticamente ai
precari della pubblica amministrazione, i quali per ottenerlo non dovranno
dimostrare alcunché (se non di aver subito illegittimamente una situazione di
precariato protrattasi nel tempo).
Per ulteriori informazioni e chiarimenti, contattateci!
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[1] Ci si riferisce, in particolare alla Direttiva 1999/70/CE del 28.06.1999,
alla quale l’Italia ha dato attuazione con il decreto legislativo 6 settembre
2001, n. 368 e susseguenti modifiche (sino a giungere al D.lgs. n. 81 del
2015).
[2] Cfr., ex multibus, Cass. SS. UU. sent. n. 5072/2016 del 15.03.2016.
[3] Art. 97 Cost.
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