lunedì 19 giugno 2017

Tempo di vestizione: il Tribunale riconosce il diritto agli arretrati


Il Tribunale di Bari ha riconosciuto al lavoratore il diritto alla retribuzione spettante per la vestizione e svestizione e ha condannato il datore di lavoro al pagamento degli arretrati.

Del c.d. "tempo di vestizione" ci eravamo già occupati in altri approfondimenti precedenti (http://samperisizarrelli.blogspot.it/2017/04/tempo-di-vestizione-e-diritto-alla.html) nei quali abbiamo messo in luce il diritto del lavoratore a vedersi retribuito anche per il tempo necessario ad indossare e poi togliere gli abiti da lavoro.
Ma andiamo per ordine.

Che cos’è il c.d. tempo di vestizione?
Il tempo di vestizione (anche noto come "tempo tuta") è il tempo che il dipendente impiega per indossare e poi togliere la divisa o gli abiti di lavoro.

Si pensi, ad esempio, ad un infermiere. Detto operatore, per ragioni igieniche e sanitarie, dovrà necessariamente indossare un camice ed effettuare - prima di prendere servizio - tutta una serie di operazioni propedeutiche allo svolgimento dell’attività lavorativa. Tali operazioni, a maggior ragione, dovranno essere svolte dai medici o dagli "addetti" ai laboratori analisi.
Si tratta, in ogni caso, di operazioni che richiedono – prima e dopo lo svolgimento dell’attività lavorativa "vera e propria" - ulteriore tempo. Tempo definito, per l’appunto, "di vestizione".

Sono molte in realtà le professioni che devono essere svolte necessariamente "in divisa".
Si pensi ad uno chef che è sempre a contatto con il cibo o, ancora, al personale di talune aziende che impongono ai propri dipendenti - per le più svariate ragioni (di protezione da eventuali rischi, igieniche, sociali, o semplicemente estetiche) - di indossare determinati abiti da lavoro.

Anche il tempo per indossare la divisa ("tempo tuta") è considerato orario lavorativo e, per questo, va retribuito. A questa conclusione è arrivato il Tribunale di Bari con la recentissima pronuncia n. 1401/2017 con cui ha condannato l'Asl locale al pagamento di 165.000,00 euro nei confronti di tredici dipendenti ai quali dal 1995 l’azienda non pagava il tempo speso per indossare la divisa obbligatoria.

Tempo che è stato stimato di 20 minuti: 10 prima del turno di servizio e 10 il turno, intervalli ritenuti rispettivamente necessari per indossare la divisa di lavoro e per toglierla.

Nella sentenza si legge infatti che:

Rientrano nell’ambito del lavoro effettivo ex art. 6 RDL 692/23 anche i lavori preparatori e complementari che debbano eseguirsi al di fuori dell’orario normale delle aziende.
Costituiscono lavori preparatori e complementari rientranti nell’orario di servizio, quelli che siano strettamente necessari per predisporre il funzionamento degli impianti e dei mezzi di lavoro, per apprestare materie prime, per la pulizia, per l’ultimazione e lo sgombro dei prodotti ed in genere tutti gli altri servizi indispensabili ad assicurare la regolare ripresa e cessazione del lavoro nelle industrie a funzionamento non continuativo, limitatamente al personale addetto a tali lavori.
Ai sensi dell’art. 2 punto 1 della Direttiva 23 novembre 1993 n. 93/104 del Consiglio dell’Unione Europea rientra nell’orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.

Sulla scorta della sentenza in commento è verosimile presumere che saranno numerose le categorie di lavoratori che rivendicheranno il diritto a percepire dal proprio datore di lavoro gli emolumenti non versati in considerazione del "tempo di lavoro effettivo" (tempo tuta) non retribuito.  

 

Studio Legale Samperisi&Zarrelli
Produzione Riservata
 


 

 
 

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