I creditori delle Cooperative non possono
rivolgersi ai proprietari degli alloggi popolari
Sono migliaia i cittadini italiani che –
nel corso degli anni – hanno acquistato alloggi
di edilizia economica popolare.
Il più delle volte, l’acquisto di dette
abitazioni ha comportato sacrifici
considerevoli costati per gli acquirenti i risparmi
di tutta una vita.
Sacrifici e risparmi che purtroppo si sono
spesso rilevati vani e mal riposti, oltreché forieri di danni che – a tutt’oggi – spiegano i loro effetti.
Nella maggior parte dei casi, infatti,
dette abitazioni non erano all’altezza delle aspettative, né del prezzo pagato. Molti acquirenti,
inoltre, hanno dovuto attendere anni e anni prima di entrare finalmente
nell’effettivo possesso dell’abitazione.
Ma non è tutto.
A subire le peggiori conseguenze sono stati
quegli acquirenti che, dopo essere diventati (finalmente) proprietari della
"tanto agognata" abitazione, si sono visti inspiegabilmente chiedere ingenti somme di denaro da parte di terzi soggetti coinvolti a vario titolo
nella costruzione dell’abitazione stessa.
Ciò in
quanto, la costruzione di questi alloggi, il più delle volte, è posta in essere
dalle c.d. società cooperative edilizie
di abitazione.
Purtroppo, però, alcune di esse con il
tempo si sciolgono, falliscono o vengono poste in liquidazione portandosi dietro una
schiera di creditori che non sanno a chi rivolgersi per soddisfare le
proprie pretese.
La domanda che – a questo punto – ci si
potrebbe porre è la seguente.
Possono i creditori delle Cooperative edilizie rivolgersi direttamente ai proprietari degli appartamenti per
soddisfare un credito che vantano, invece, nei confronti della Cooperativa?
In altri termini: possono detti creditori
soddisfare le proprie pretese nei confronti degli assegnatari degli alloggi, certamente più solvibili rispetto a Cooperative (magari fallite o addirittura
non più esistenti)?
La risposta (negativa) dovrebbe essere
scontata.
Eppure, negli ultimi tempi i proprietari di "case popolari", dopo aver finalmente acquistato - con tanta fatica - la loro abitazione, sono
stati spesso inondati da inspiegabili pretese
creditorie. Pretese creditorie avanzate da parte di soggetti terzi che, invece di rivolgersi alle Cooperative (che avevano costruito l’immobile), si sono rivolti ai proprietari degli immobili stessi.
Oltre al danno - verrebbe da dire - anche
la beffa!
A sottolineare l’illegittimità di tale
situazione, per fortuna, è intervenuto qualche giorno fa il Tribunale di Messina che, con una
sentenza [2] destinata sicuramente a
fare molto rumore, sembra aver posto la parola «fine» alle ingiuste pretese
ai danni dei proprietari di alloggi di
edilizia economica popolare.
La
vicenda
Cerchiamo di comprendere meglio la
questione affrontata da Tribunale di Messina. Ma prima, facciamo un passo
indietro.
Come
evidenziato sopra, il più delle volte, la costruzione delle case di edilizia economica popolare è
posta in essere dalle c.d. società
cooperative edilizie di abitazione.
Dette
società, una volta costruite le abitazioni, le trasferiscono ai loro soci. I soci di dette società
cooperative, infatti, aderiscono alla cooperativa con lo scopo
di ottenere l’assegnazione di un alloggio. Come detto, quindi, è la
Cooperativa che procede alla realizzazione di detti alloggi, avvalendosi – però
– di ingenti quote, contributi e finanziamenti dei soci, che diventeranno – poi – proprietari degli immobili.
Ed è
proprio questo che è avvenuto nel caso di specie.
I problemi, tuttavia, sono sorti poiché il terreno sul quale la Cooperativa aveva
costruito gli alloggi era stato espropriato
illegittimamente.
Di talché, gli originari proprietari dei terreni, dopo aver subito
l’espropriazione (illegittima), agivano avverso le Cooperative, per vedersi riconoscere il risarcimento del danno causato della predetta occupazione illegittima del loro terreno.
La giustizia dava ragione agli originari
proprietari dei terreni, assegnando loro congrui
risarcimenti da eseguire, appunto, nei
confronti delle Cooperative (che avevano costruito su un terreno
illegittimamente espropriato).
I proprietari dei terreni, tuttavia, dopo
aver compreso che le Cooperative
condannate erano sostanzialmente "nullatenenti",
hanno pensato di rivolgere le loro pretese direttamente nei confronti di coloro
i quali – nel frattempo – erano diventati proprietari
degli immobili [2].
Ed ecco l’interrogativo che ci ponevano
poc’anzi?
Possono i creditori delle Cooperative (in seguito fallite) rivolgersi ai proprietari degli immobili di edilizia
economica popolare?
Si tratta di un problema, in verità , assai comune per gli acquirenti (centinaia di migliaia in
Italia) di edilizia economica e popolare
che, dopo l’assegnazione degli alloggi, vengono spesso travolti da ingenti
richieste da parte di soggetti terzi.
Finalmente, il Tribunale di Messina ha
risolto il problema.
Per farlo ha dovuto compiere un’attenta
analisi di tutte le questioni giuridiche sottese alla vicenda, con particolare
riferimento all’istituto giuridico del c.d. accollo [3].
All’esito di una complessa e magistrale ricostruzione,
il Tribunale ha statuito che nei casi come quello di specie, ricorre la figura
del c.d. accollo interno.
Ebbene, secondo consolidata dottrina e
giurisprudenza, l’«accollo interno non
muta la posizione del creditore verso il quale rimane obbligato il solo debitore originario»[4].
Nei casi analoghi a quello di specie
quindi, unica debitrice rimane la
Cooperativa edilizia e nulla si potrà pretendere dal proprietario dell’alloggio.
Ciò posto, è evidente che siamo di fronte ad una pronuncia
storica che permetterà a migliaia di cittadini italiani coinvolti in acquisti di alloggi "popolari"
di essere più sereni rispetto alla loro
proprietà.
I terzi creditori delle Cooperative (benché
fallite o in liquidazione) – infatti – non potranno più rivolgersi a loro.
[1] Trib. Messina, sent. n. 1851 del 19.05.2017.
[2] c.d. soci assegnatari cui,
frattanto, le Cooperative avevano ceduto gli alloggi.
[3] Cfr.
art. 1273 cod. civ.
[4] Cfr. Trib. Messina, sent. n. 1851/2017 (cit.), conformi: C. Cass.
sent. n. 6936 del 01.08.1996; C. Cass. sent. n. 6612 del 17.12.1984; C. Cass.
sent. n. 4618 del 08.07.1983.
Samperisi&Zarrelli Studio Legale
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