giovedì 6 aprile 2017

Trasferimento immobiliare in caso di separazione consensuale: perdita dei benefici fiscali?

Il coniuge che trasferisce un immobile all’altro in esecuzione degli accordi di separazione consensuale non decade dalle agevolazioni “prima casa” anche se il trasferimento avviene prima del quinquennio

La fattispecie portata al vaglio della S.C. ha assunto particolare rilevanza nel mondo giuridico anche in considerazione del crescente numero di coniugi che decidono di adire il competente Tribunale per concludere un accordo di separazione consensuale.
Numerose pronunce di merito e legittimità, infatti, hanno dimostrato come tale accordo si inserisca in un quadro complesso in cui lo scopo dei coniugi è quello di regolamentare i loro rapporti, anche attraverso il trasferimento di beni immobili o la costituzione di diritti reali minori sui medesimi.
L’accordo concluso dai coniugi acquista efficacia con l’omologazione del Tribunale e si innesta in un sistema scientifico in cui si fondono elementi di natura privatistica e pubblicistica insieme.
Questa commistione si rende evidente anche alla luce delle norme che regolano l’istituto de quo, ovverosia l’art. 185 cod. civ. e l’art. 711 c.p.c.
Anche se non vi è concordia di opinioni, l’aspetto negoziale e giudiziale vengono, dal legislatore, trattati sullo stesso piano. Nulla vieta, infatti, ai coniugi di trovare nuovi accordi al di fuori degli accordi omologati.
Secondo la più attenta dottrina bisogna distinguere tra accordi stipulati in occasione della separazione personale (che trovano in essa non già la causa negoziale ma soltanto la sua occasione) e accordi sulle condizioni di separazione (dove si ha riguardo ad aspetti meramente personali che sono conseguenza dell’interruzione della convivenza).
In questi ultimi, dunque, l’accordo è fonte di rapporti giuridici tra i coniugi e riguardano non solo il mantenimento del coniuge economicamente più sfavorito - ed eventualmente della prole - ma, anche, la definitiva sistemazione di ogni rapporto intercorrente tra loro nel corso della fase matrimoniale. La causa di questi non può certo definirsi quale donazione (mancandone animus), quale convenzione matrimoniale (perché l’effetto è di scioglimento del matrimonio), quale accordo transattivo (mancando aliquid novi e aliquid retentum) nonché quale novazione (mancando aliquid novi e causa novandi).
La dottrina, infatti, riconduce generalmente tali accordi nell’ambito della causa familiae atipica, ovverosia trattasi di accordi o contratti della crisi coniugale o familiare con i quali i coniugi, in applicazione del principio espresso nell’art. 1322, co. 1 e 2 (c.d. autonomia contrattuale), possono costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici obbligatori tra loro con effetti reali, traslativi o costitutivi.
La distinzione proposta in dottrina assume particolare rilevanza non solo per i notevoli risvolti pratici e teorici ma sopratutto, per ciò che interessa questa sede, per i profili di carattere tributario che colpiscono la vicenda.
La Cassazione, in un contesto normativo assai dubbio ha assunto, in passato, due posizioni diametralmente opposte e contrastanti tra loro.
Dapprima, infatti, ha affermato che l’accordo di separazione personale dei coniugi, trovando la sua causa nella volontà delle parti (di cui l’omologa costituisce mera condizione di eseguibilità) fa decadere dai benefici di “prima casa” il coniuge che, trasferendo all’altro l’immobile prima del decorso del quinquennio da quando l’ha acquistato, non abbia, entro un anno, acquistato un altro immobile (Cass. n.2263/2014).
Solo pochi giorni dopo, però, ha affermato che “l’attribuzione al coniuge della proprietà della casa coniugale in adempimento di una condizione inserita nell’atto di separazione consensuale, non costituisce infatti una forma di “alienazione” dell’immobile rilevante ai fini della decadenza dei benefici “prima casa”; bensì una forma di utilizzazione dello stesso ai fini della migliore sistemazione dei rapporti fra i coniugi, sia pure al venir meno della loro convivenza (e proprio in vista – della cessazione della convivenza stessa).” (Cass. n. 3753/2014).
Ora, a distanza di qualche anno, la Corte torna sull’argomento e, riaffermando che “le convenzioni concluse dai coniugi in sede di separazione personale, contenenti attribuzioni patrimoniali, da parte dell’uno nei confronti dell’altro, relative a beni mobili o immobili non sono né legate alla presenza di un corrispettivo né costituiscono propriamente donazioni, ma rispondono, di norma, allo spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di separazione consensuale, in funzione della complessiva sistemazione solutorio-compensativa di tutta la serie di possibili rapporti patrimoniali maturati nel corso della convivenza matrimoniale”, chiarisce (definitivamente?) che la decadenza dall’agevolazione non può derivare dall’acquisto/cessione di un immobile in sede di separazione consensuale tra i coniugi. (Cass. n. 8104/2017)
Il legislatore, infatti, ha voluto trattare questi “trasferimenti” sotto un profilo maggiormente favorevole ai coniugi, stante anche la ratio della norma di cui all’art. 19 L. 6 marzo 1987, n. 74 che prevede, appunto, l’esenzione fiscale per “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio”.
Ancora una volta il Legislatore affida alla Giurisprudenza il compito di fare luce su aspetti “poco chiari”, esponendo però, allo stesso tempo, i “poveri contribuenti” alle incertezze e lungaggini delle procedure giudiziali.
Ci si auspica, pertanto, un intervento normativo idoneo a dirimere, una volta per tutte, la questione.


a cura di David Valente
Samperisi & Zarrelli | Studio Legale

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