Se assisto ad uno spettacolo blasfemo ed anticristiano
ho diritto a chiedere e ad ottenere il risarcimento del danno
morale?
Gli appassionati di arte, teatro, opera, musica e danza sono molti. Ma cosa succede se andando, ad esempio, a teatro o al cinema ci si ritrova ad assistere ad uno spettacolo blasfemo ed anticristiano?
Cosa accade se un cittadino si sente "leso" da una rappresentazione artistica o teatrale,
tale da poter "turbare" il proprio animo o la propria sensibilità religiosa? Si ha diritto al
risarcimento del danno morale oppure
non si potrà pretendere nulla?
Con una recentissima sentenza, la Corte di Cassazione
ha dato una risposta a queste domande, statuendo – per dirla in poche parole –
che l’arte non è mai blasfema. Può
non piacere, può risultare provocatoria, creare sgomento, tanto da offendere i
sentimenti e le emozioni di qualcuno. Il singolo cittadino, tuttavia, non avrà
diritto di pretendere – invocando la propria sensibilità religiosa o morale – alcun tipo di risarcimento.
Questa pronuncia è sicuramente destinata a "far rumore" e potrebbe non essere vista di buon occhio da quanti, seppur appassionati d’arte, siano fervidamente ancorati ai propri valori religiosi e cristiani. Proprio per questo motivo, con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione ha posto l’accento sul principio di laicità dello Stato [2].
Come noto, uno Stato può
essere definito "laico" quando non fa propria una morale di matrice strettamente
religiosa per affrontare e risolvere i
problemi quotidiani della vita sociale, ponendosi rispetto ad essi in maniera "neutrale".
In quest’ottica esso si contrappone allo Stato
"clericale" in cui i precetti propri di una fede sono seguiti
dallo Stato medesimo e diventano vincolanti per tutti i consociati.
Nella società contemporanea, multiculturale e multireligiosa il
principio di laicità dello Stato costituisce il punto di riferimento
fondamentale per evitare fenomeni di fondamentalismo
e integralismo religioso e per
ottenere il risultato di una civile convivenza
fra tutti, a prescindere dalle diverse connotazioni di ciascuno: religiose,
etiche, razziali, linguistiche, etniche, politiche, sessuali ecc.
Ciò posto, in uno Stato laico (qual è il nostro) ed in cui la sfera
sociale dovrebbe essere ben distinta rispetto a quella religiosa, non si potrebbero in alcun modo «inibire» le manifestazioni artistiche,
anche se «sospettate di offendere il
sentimento religioso di qualcuno».
Con queste
parola la Suprema Corte ha respinto la
richiesta di risarcimento per danni morali avanzata da un cittadino nei
confronti della Biennale di Venezia, ritenuta "colpevole" di aver messo in scena - nel 2007 - il balletto "Messiah Game", lettura in chiave sadomaso
della Passione di Cristo.
Detto
spettacolo era stato ritenuto, da molti, gravemente offensivo «del comune sentire medio del cittadino
cattolico, oltre che lesivo del diritto di libertà religiosa garantito
dall'articolo 19 della Costituzione».
Analoga accusa era stata mossa nel 1988 nei confronti
di un film di Martin Scorsese che aveva
presentato alla Mostra del Cinema "L’ultima
tentazione di Cristo", film ritenuto – da molti esponenti del mondo
cristiano – addirittura blasfemo.
I Giudici, tuttavia, hanno affermato che tra i «principi
fondamentali della Repubblica ci sono la promozione e lo sviluppo della cultura, la libertà dell’arte e della scienza e pertanto sono pienamente
consentite le manifestazioni artistiche
e scientifiche, che possono svolgersi senza dover subire condizionamenti o
indirizzi di sorta».
«La carta
costituzionale» sottolinea la Cassazione
«afferma la laicità dello Stato, il
che esclude il diritto di un singolo cittadino di pretendere che lo Stato
impedisca manifestazioni di pensiero contrarie ai principi della religione
cristiana, purché non si pongano problemi di ordine pubblico o rilevanza penale».
Esiste, infatti, la libertà di manifestazione del proprio pensiero [3] (anche artistico) che in uno Stato
laico non può subire condizionamenti "moralistici".
Vero è che in questi casi il pubblico ha sempre
ragione. Ed infatti è sempre il "popolo sovrano" (insieme alla critica) a decretare il successo
o a stroncare un film, un’opera teatrale o una manifestazione artistica. Il pubblico,
ovviamente, è liberissimo di esprimere il proprio giudizio che ben potrà essere
ancorato alla propria morale o al proprio sentire religioso. A tanto però non
potrà far riferimento per chiedere un risarcimento del danno morale.
Ed infatti, il singolo che - invocando la propria
sensibilità religiosa - pretenda di
ottenere un ristoro economico dopo aver visto una rappresentazione a suo dire
blasfema, oltre a non essersi goduto lo spettacolo resterà a mani vuote.
[1] C. Cass. sez. I, sentenza n. 1468 del 23.03.2017
(presidente Bernabei, Relatore Sambito)
[2] Il principio di laicità si ricava dalla
lettura combinata di numerose disposizioni della Costituzione. Come ha
precisato al Corte costituzionale con la sentenza n. 203 del 1989, il principio
di laicità, declinato negli articoli 2, 3, 7, 8, 19, e 22, rappresenta un
principio “supremo” che non potrebbe essere eliminato neppure mediante il
procedimento di revisione costituzionale.
[3] Art. 21 Cost.
Studio Legale Samperisi&Zarrelli
Produzione riservata
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