Co.co.co.
del D.M. 66/2001: via libera ai rimborsi ed alla ricostruzione della carriera
È
ormai nota la problematica – tutta italiana – del precariato nella Pubblica Amministrazione ed in particolare nelle scuole.
L’ennesimo
caso che viene alla ribalta riguarda il personale
amministrativo che dal 1° luglio 2001 lavora nelle segreterie scolastiche con contratto di Co.co.co, ovvero di collaborazione coordinata e continuativa.
Si
tratta di un numero cospicuo di lavoratori che da oltre 16 anni subisce l’illegittima
precarizzazione della propria condizione lavorativa. Condizione lavorativa
che viene rinnovata ogni 3 anni con contratti che prevedono 30 ore di lavoro settimanale senza
alcun genere di retribuzione in caso di
malattia, permessi di nessun
tipo, né – tantomeno – diritto a ferie,
tredicesima mensilità e quant’altro
previsto per il medesimo personale assunto, però, a tempo pieno.
I "Co.co.co del D.M. 66/2001" (così
ormai vengono notoriamente chiamati) sono 900
in tutta Italia. Più della metà di loro (490) si trova in Sicilia (205 a Palermo, 157 a Siracusa
e gli altri nel resto dell’isola). Le altre regioni italiane interessante da
questa particolare "forma di precariato" sono la Calabria, la Puglia, la Campania, il Lazio, l’Abruzzo e la Sardegna.
La
"condizione" di questi lavoratori è del tutto ingiusta, poiché si
pone in netto contrasto sia con la normativa
europea [1] che con quella italiana [2].
Cosa dispone la normativa
europea?
La
normativa europea dispone che i "lavoratori a termine" non possono
essere trattati in modo meno favorevole
dei lavoratori a tempo indeterminato «per
il solo fatto di avere un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato».
Ed
infatti, ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro basti
a giustificare una disparità di
trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo
indeterminato, priverebbe di contenuto gli obiettivi della direttiva 1999/70/CE. Obiettivi individuati nella garanzia della parità di trattamento
ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni e volti ad impedire che un rapporto di impiego di
tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori
dei diritti riconosciuti ai medesimi lavoratori che siano stati assunti a tempo
pieno.
Cosa dispone la normativa
italiana?
Con particolare riferimento al nostro ordinamento, forse non tutti
sanno che il contratto di lavoro a tempo determinato nasce dalla volontà del
legislatore di sopperire ad esigenze produttive ed organizzative temporanee e costituisce un’eccezione
alla regola (che è quella – per l’appunto – dell’assunzione con contratto di
lavoro a tempo indeterminato).
Per questo motivo, la
stipula di contratti a termine deve
essere soggetta a dei limiti.
Detti limiti, per la
categoria di lavoratori oggetto della presente disamina – erano stati
stabilibili dal D.M. 66/2011. Detta
norma, in particolare, prevedeva la stabilizzazione
lavorativa entro 5 anni dall’avvio dei contratti di c.d. collaborazione
coordinata e continuativa.
Da allora, tuttavia,
sono passati più di 16 anni e la
stabilizzazione non è ancora stata prevista.
Più che giustificata,
dunque, la protesta di centinaia di
precari della scuola che altro non chiedono se non il rispetto della legge.
Le prime risposte
positive sono arrivate da diversi Tribunali
[3].
In particolare, il Tribunale di Termini Imerese ha sancito
che i Co.co.co. della scuola che da anni vengono impiegati per lo più nelle
segreterie con mansioni di tipo amministrativo hanno diritto ad un risarcimento di otto mensilità.
In seguito, il Tribunale di Marsala ha condannato
il Ministero della Pubblica Istruzione a
corrispondere alla lavoratrice che
aveva fatto causa le differenze retributive maturate negli
ultimi 5 anni di lavoro.
Magistrali, al
riguardo, le parole espresse dal Giudice, a detta del quale «attribuire
al lavoro prestato da un precario una qualificazione di minor rilievo o
differente qualità rispetto al lavoro svolto da un altro diverso prestatore
sarebbe quanto meno lesivo della dignità della sua opera e del suo apporto
personale ed in contrasto con l’art. 1 della Costituzione».
Non si dimentichi,
infatti, che la nostra Costituzione esordisce così: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».
[1] Clausola
4 della Direttiva 1999/70/CE del 28.06.1999 del Consiglio dell’Unione Europea.
[2] D.M.
n. 66/2001 del 20.04.2001.
[3] in
particolare, cfr. sul punto Trib. Di Termini Imerese, sentenza n.
46 del 18.01.2017.
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