Sono a tutti noti gli accadimenti che
hanno recentemente "scosso" il centro Italia.
Stiamo parlando del terremoto, che ha
letteralmente raso al suolo interi Paesi e borghi, della valanga, che ha
ridotto in macerie l’Hotel Rigopiano. Parliamo delle povere vittime, delle vite
umane travolte e della vita di chi resterà sempre segnato dal dolore.
Paura, angoscia, rabbia,
orrore … ma anche solidarietà, speranza e gioia per i sopravvissuti. Tutti questi sentimenti si sono
succeduti negli animi degli Italiani, che in tutto questo marasma di dolore
hanno provato anche indignazione. Indignazione per chi ha avuto addirittura il
coraggio di "fare ironia" con delle vignette satiriche.
Ed ecco che agli occhi del mondo le macerie
hanno preso la forma di lasagne condite di sangue e di morte e la valanga ha
preso le sembianze della Morte che sciando beffarda ha annunciato il suo macabro
arrivo in Italia.
Ebbene, c’è chi – come tutti sanno – ha
reagito a tali "provocazioni" con la violenza e con le armi, armi
vere che hanno provocato altrettanta morte e distruzione. 
C’è chi invece ha usato un’ "arma"
più intelligente ed anche più efficace: la speranza che corre più veloce della
morte.
Ora, al di là di ogni inutile «Je
suis …» o «Je ne suis pas», sarebbe opportuno comprendere che cos’è il
diritto di satira, tracciarne i suoi limiti e rispondere alla seguente domanda:
l’ironia può diventare un reato?
La libertà di manifestazione del
pensiero
Facciamo un passo indietro ed
analizziamo il punto dal quale tutto trae origine.
Narra la letteratura leggendaria che fu
proprio un francese - tale François-Marie
Arouet  - più noto come Voltaire ad
affermare «non sono d'accordo
con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo».
Detta
affermazione è cristallizzata anche nella nostra Costituzione.
L’articolo
21 della Carta Costituzionale [1], in particolare, riconosce e tutela il diritto alla libera manifestazione del
proprio pensiero e ne garantisce il libero esercizio da parte di ogni
persona. Tale enunciazione di principio esprime un valore imprescindibile per
una duplice finalità: da un lato, in un’ottica individualistica, la libertà di
manifestazione del pensiero è assicurata al singolo come espressione della sua
personalità; dall’altro, in una visione dal respiro sociale, essa è
riconosciuta perché attraverso detta libertà il singolo può concorrere alla
dialettica democratica esercitando un controllo sociale e di protezione contro
gli abusi e gli eccessi del potere e delle forze politiche.
Nell’ambito
di questa materia gioca un ruolo fondamentale l’attività giornalistica, che si
estrinseca nel diritto di cronaca, di critica e di satira.
Il diritto di satira
Il diritto
di satira è definito come la massima estensione del diritto di critica e si
caratterizza per il ruolo preponderante dell’autore, il quale – generalmente -
persegue lo scopo di destare ilarità nel pubblico ricorrendo al paradosso ed a
rappresentazioni surreali.
Comunque si
esprima, ovvero nella forma scritta, orale o figurata, la satira costituisce
una critica corrosiva e spesso impietosa basata su una rappresentazione che
enfatizza e deforma la realtà per provocare il riso. Appunto il riso: ma
talvolta c’è poco d ridere.
La satira è
una forma di comunicazione dalle origini molto antiche che mira alla critica
del malcostume della politica e della società. Critica atta a promuovere il
cambiamento dell’attuale situazione. Secondo la Suprema Corte di Cassazione la satira è una
forma artistica che mira all’ironia sino al sarcasmo, esercitata nei confronti
del potere di qualsiasi natura. Ed
ecco un altro nodo al pettine: la satira deve essere esercitata contro il
potere, non contro le vittime.
Quest’arte,
in ogni epoca, può rivelarsi scomoda ed essere esposta a ritorsioni e censure:
ma il suo scopo, invero, dovrebbe essere quello di
sensibilizzare la coscienza comune mediante la rappresentazione beffarda di un
fatto, di far riflettere la collettività con le armi dell’ironia e del
sarcasmo, non con quelle della macabra ed insensibile offesa peraltro sterile
o, peggio, ingeneratrice di altra violenza.
La satira dovrebbe essere utilizzata come veicolo di denuncia del
malcostume della società e della politica, non per infierire su chi ne subisce
le conseguenze. 
Dovrebbe
rappresentare uno strumento per criticare i potenti, non per
offendere i più deboli. 
Dovrebbe
richiamare valori etici e condivisibili dalla collettività, non scatenare ira
ed altra violenza.
Dovrebbe  far riflettere, non indignare inutilmente. 
A questo
punto diverse sono le domande che ci si potrebbe porre.
Qual è il confine tra la satira e l’offesa all’onore,
al decoro ed alla reputazione di chi ne è il bersaglio? Quando l’ironia si
trasforma in reato di diffamazione?
Bene. Da
un punto di vista giuridico è necessario precisare che in tali casi vengono in
rilievo due interessi tra loro configgenti: da un lato l’interesse della
persona o della comunità che è oggetto della satira [2]; dall’altro l’interesse contrapposto di chi ne è l’autore [3].
Ciò
posto, occorre trovare un punto di equilibrio tra i due interessi suddetti.
In
materia è intervenuta più volte la giurisprudenza [4]  sancendo che il diritto di satira deve essere
soggetto a dei limiti, ovverosia i limiti della continenza e della utilità
delle espressioni usate o delle immagini mostrate rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguita
dall’autore.
Travalicati
i suddetti limiti, la satira si traduce in
una immotivata ed ingiuriosa aggressione all’onore e alla reputazione di
qualcuno, facendo "scattare" inevitabilmente il reato di
diffamazione [5].
Con tale delitto la legge punisce chi, comunicando con altre persone
(anche a mezzo stampa, ed in questo caso la pena è aumentata), reca offesa alla reputazione altrui,
ossia all’immagine ed alla considerazione di cui un soggetto gode nella
collettività.
È inevitabile che la satira vada a distorcere la realtà, irridendola con
un messaggio sociale pungente ed impietoso. Nel far questo, essa può anche
sfociare nella volgarità, ma non può tradursi in rappresentazioni eticamente
indecorose, riferimenti grossolani ed esecrabili, suscitando nel pubblico
scherno, sprezzo, indignazione ed acuendo nelle vittime un dolore che già di
per sé non verrà mai sopito.
Alla domanda: può l’autore di una vignetta satirica essere condannato
per diffamazione? La risposta è si.
Sebbene, infatti, debba ritenersi la satira come la più tagliente e
sprezzante delle critiche, essa non deve concretizzarsi in un insulto gratuito e
distruttivo nei
confronti di una persona o di una comunità. 
All’ulteriore domanda: vale la pena prendersela tanto?
La risposta, a detta di scrive, è no. Gli italiani hanno già avuto la
loro "rivincita" nei confronti dei cugini francesi.
Come? Semplicemente mostrando la propria assoluta superiorità intellettuale e d’animo, infondendo la speranza che deve essere superiore ad ogni "cattiveria" e che deve correre più veloce della morte.
Come? Semplicemente mostrando la propria assoluta superiorità intellettuale e d’animo, infondendo la speranza che deve essere superiore ad ogni "cattiveria" e che deve correre più veloce della morte.
[1] L’art. 21
della Costituzione sancisce che «Tutti hanno diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o
censure». 
[2] Tutelato dall’art. 2 della Costituzione, che
statuisce «La
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e
sociale».
[3] Garantito
dall’art. 21 Cost. (cit.).
[4] Cfr. ex multibus, Cass. sent. n. 1740/2012
del 17/01/2012 e sent. n. 5499/2014 del 10/03/2014.
[5]
Art. 595 cod. Pen.
 
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