martedì 7 febbraio 2017

Satira e diffamazione. C’è chi usa un' "arma" più potente: la speranza che corre più veloce della morte.

Sono a tutti noti gli accadimenti che hanno recentemente "scosso" il centro Italia.
Stiamo parlando del terremoto, che ha letteralmente raso al suolo interi Paesi e borghi, della valanga, che ha ridotto in macerie l’Hotel Rigopiano. Parliamo delle povere vittime, delle vite umane travolte e della vita di chi resterà sempre segnato dal dolore.
Paura, angoscia, rabbia, orrore … ma anche solidarietà, speranza e gioia per i sopravvissuti. Tutti questi sentimenti si sono succeduti negli animi degli Italiani, che in tutto questo marasma di dolore hanno provato anche indignazione. Indignazione per chi ha avuto addirittura il coraggio di "fare ironia" con delle vignette satiriche.
Ed ecco che agli occhi del mondo le macerie hanno preso la forma di lasagne condite di sangue e di morte e la valanga ha preso le sembianze della Morte che sciando beffarda ha annunciato il suo macabro arrivo in Italia.
Ebbene, c’è chi – come tutti sanno – ha reagito a tali "provocazioni" con la violenza e con le armi, armi vere che hanno provocato altrettanta morte e distruzione.
C’è chi invece ha usato un’ "arma" più intelligente ed anche più efficace: la speranza che corre più veloce della morte.
Ora, al di là di ogni inutile «Je suis …» o «Je ne suis pas», sarebbe opportuno comprendere che cos’è il diritto di satira, tracciarne i suoi limiti e rispondere alla seguente domanda: l’ironia può diventare un reato?

La libertà di manifestazione del pensiero

Facciamo un passo indietro ed analizziamo il punto dal quale tutto trae origine.
Narra la letteratura leggendaria che fu proprio un francese - tale François-Marie Arouet  - più noto come Voltaire ad affermare «non sono d'accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo».
Detta affermazione è cristallizzata anche nella nostra Costituzione.
L’articolo 21 della Carta Costituzionale [1], in particolare, riconosce e tutela il diritto alla libera manifestazione del proprio pensiero e ne garantisce il libero esercizio da parte di ogni persona. Tale enunciazione di principio esprime un valore imprescindibile per una duplice finalità: da un lato, in un’ottica individualistica, la libertà di manifestazione del pensiero è assicurata al singolo come espressione della sua personalità; dall’altro, in una visione dal respiro sociale, essa è riconosciuta perché attraverso detta libertà il singolo può concorrere alla dialettica democratica esercitando un controllo sociale e di protezione contro gli abusi e gli eccessi del potere e delle forze politiche.
Nell’ambito di questa materia gioca un ruolo fondamentale l’attività giornalistica, che si estrinseca nel diritto di cronaca, di critica e di satira.

Il diritto di satira
Il diritto di satira è definito come la massima estensione del diritto di critica e si caratterizza per il ruolo preponderante dell’autore, il quale – generalmente - persegue lo scopo di destare ilarità nel pubblico ricorrendo al paradosso ed a rappresentazioni surreali.
Comunque si esprima, ovvero nella forma scritta, orale o figurata, la satira costituisce una critica corrosiva e spesso impietosa basata su una rappresentazione che enfatizza e deforma la realtà per provocare il riso. Appunto il riso: ma talvolta c’è poco d ridere.
La satira è una forma di comunicazione dalle origini molto antiche che mira alla critica del malcostume della politica e della società. Critica atta a promuovere il cambiamento dell’attuale situazione. Secondo la Suprema Corte di Cassazione la satira è una forma artistica che mira all’ironia sino al sarcasmo, esercitata nei confronti del potere di qualsiasi natura. Ed ecco un altro nodo al pettine: la satira deve essere esercitata contro il potere, non contro le vittime.
Quest’arte, in ogni epoca, può rivelarsi scomoda ed essere esposta a ritorsioni e censure: ma il suo scopo, invero, dovrebbe essere quello di sensibilizzare la coscienza comune mediante la rappresentazione beffarda di un fatto, di far riflettere la collettività con le armi dell’ironia e del sarcasmo, non con quelle della macabra ed insensibile offesa peraltro sterile o, peggio, ingeneratrice di altra violenza.
La satira dovrebbe essere utilizzata come veicolo di denuncia del malcostume della società e della politica, non per infierire su chi ne subisce le conseguenze.
Dovrebbe rappresentare uno strumento per criticare i potenti, non per offendere i più deboli.
Dovrebbe richiamare valori etici e condivisibili dalla collettività, non scatenare ira ed altra violenza.
Dovrebbe  far riflettere, non indignare inutilmente.
A questo punto diverse sono le domande che ci si potrebbe porre.

Qual è il confine tra la satira e l’offesa all’onore, al decoro ed alla reputazione di chi ne è il bersaglio? Quando l’ironia si trasforma in reato di diffamazione?

Bene. Da un punto di vista giuridico è necessario precisare che in tali casi vengono in rilievo due interessi tra loro configgenti: da un lato l’interesse della persona o della comunità che è oggetto della satira [2]; dall’altro l’interesse contrapposto di chi ne è l’autore [3].
Ciò posto, occorre trovare un punto di equilibrio tra i due interessi suddetti.
In materia è intervenuta più volte la giurisprudenza [4]  sancendo che il diritto di satira deve essere soggetto a dei limiti, ovverosia i limiti della continenza e della utilità delle espressioni usate o delle immagini mostrate rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguita dall’autore.
Travalicati i suddetti limiti, la satira si traduce in una immotivata ed ingiuriosa aggressione all’onore e alla reputazione di qualcuno, facendo "scattare" inevitabilmente il reato di diffamazione [5].
Con tale delitto la legge punisce chi, comunicando con altre persone (anche a mezzo stampa, ed in questo caso la pena è aumentata), reca offesa alla reputazione altrui, ossia all’immagine ed alla considerazione di cui un soggetto gode nella collettività.
È inevitabile che la satira vada a distorcere la realtà, irridendola con un messaggio sociale pungente ed impietoso. Nel far questo, essa può anche sfociare nella volgarità, ma non può tradursi in rappresentazioni eticamente indecorose, riferimenti grossolani ed esecrabili, suscitando nel pubblico scherno, sprezzo, indignazione ed acuendo nelle vittime un dolore che già di per sé non verrà mai sopito.
Alla domanda: può l’autore di una vignetta satirica essere condannato per diffamazione? La risposta è si.
Sebbene, infatti, debba ritenersi la satira come la più tagliente e sprezzante delle critiche, essa non deve concretizzarsi in un insulto gratuito e distruttivo nei confronti di una persona o di una comunità. 
All’ulteriore domanda: vale la pena prendersela tanto?
La risposta, a detta di scrive, è no. Gli italiani hanno già avuto la loro "rivincita" nei confronti dei cugini francesi.
Come? Semplicemente mostrando la propria assoluta superiorità intellettuale e d’animo, infondendo la speranza che deve essere superiore ad ogni "cattiveria" e che deve correre più veloce della morte.


[1] L’art. 21 della Costituzione sancisce che «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». 

[2] Tutelato dall’art. 2 della Costituzione, che statuisce «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».

[3] Garantito dall’art. 21 Cost. (cit.).

[4] Cfr. ex multibus, Cass. sent. n. 1740/2012 del 17/01/2012 e sent. n. 5499/2014 del 10/03/2014.


[5] Art. 595 cod. Pen.

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