Con una recentissima
sentenza destinata a passare alla storia [1],
la Corte Costituzionale ha stabilito per la prima volta che i figli non
dovranno più avere obbligatoriamente il cognome del padre.
La
Consulta, infatti, ha dichiarato incostituzionale la norma che prevede l’automatica
attribuzione del cognome paterno quando
è presente una comune volontà da parte
dei genitori di attribuire al figlio anche il cognome della madre.
Se sono d'accordo,
quindi, i genitori potranno dare al figlio il doppio cognome o anche solo il cognome della madre.
La
sentenza della Consulta trae le sue origini dal ricorso di una coppia italo-brasiliana che richiedeva di poter registrare il proprio figlio,
avente doppia cittadinanza, sia con il cognome del padre che con quello della
madre.
La
richiesta della coppia era stata respinta in base ad un’antica consuetudine secondo
la quale ai figli nati nel matrimonio
deve essere attribuito esclusivamente il cognome del padre di
famiglia, con il (problematico) risultato che mentre
in Brasile il bambino poteva essere registrato con il doppio cognome, in Italia la registrazione poteva avvenire solo per il cognome paterno.
In secondo
grado, la Corte d’appello di Genova sollevava la questione di legittimità costituzionale.
La Corte,
investita della questione, ha stabilito che d’ora in poi i figli ben potranno avere
il cognome della madre accanto a quello del padre.
A tal fine
non sarà più necessario avviare infinite lungaggini burocratiche: l’unico
requisito richiesto sarà la volontà ed il comune accordo
dei due genitori.
Si ricorda,
infatti, che prima del dictum della
Corte Costituzionale l’unico modo per ottenere il doppio cognome per il figlio
passava attraverso un intricato iter burocratico che prevedeva una richiesta al Prefetto, la cui decisione era discrezionale e quindi
tutt’altro che certa.
Da adesso
in poi, invece, si userà un criterio più rispettoso dell’autonomia e della parità
tra i coniugi e non più relegato ad
una vetusta consuetudine, frutto di una civiltà patriarcale che, dati i tempi,
non ha più ragione di esistere.
[1]
Corte Cost., 8 novembre – 21 dicembre
2016, n. 286; Grossi Presidente - Amato Redattore
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