sabato 28 gennaio 2017

Prospettive di stabilizzazione per i precari del pubblico impiego

Lotta al precariato: verso il diritto alla stabilizzazione per il dipendente statale che abbia lavorato per oltre 36 mesi.

Forse non tutti sanno che il contratto di lavorotempo determinato nasce dalla volontà del legislatore di sopperire ad esigenze produttive ed organizzative temporanee e costituisce un’eccezione alla regola (che è quella – per l’appunto – dell’assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato).
Per questo motivo, la stipula di contratti a termine deve essere soggetta a dei limiti, superati i quali si determina un abuso che, in quanto tale, deve essere sanzionato.
Più precisamente, la Pubblica Amministrazione non può ricorrere al rinnovo dei contratti a tempo determinato per oltre 36 mesi. Al contrario si creerebbe per il dipendente una illegittima situazione di precariato vietata non solo dalla legge italiana, ma anche da quella dell’Unione Europea [1].

Detta situazione di illegittimità non è sfuggita alla Corte di Cassazione [2] che (pronunciandosi anche a Sezioni Unite) ha stabilito che il pubblico dipendente cui sia stato rinnovato per oltre 36 mesi il contratto a tempo determinato ha diritto al risarcimento del danno. Danno che deriva dalla circostanza che in questi casi il dipendente, vincolato dalle continue proroghe, resta "prigioniero" del suo stesso contratto a termine, finendo con l’essere "condannato" a vivere una situazione di eterna precarietà, alla quale non sarebbe assoggettato laddove, ad esempio, alla normale conclusione del rapporto di lavoro potrebbe cercare impiego altrove.

Quali i rimedi?
Come abbiamo detto, i dipendenti pubblici hanno diritto al risarcimento del danno. Danno che si compone di due elementi:
  •  un’indennità forfettaria da quantificare tra un minimo di 2,5 mensilità ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto [3];
  • un risarcimento per la c.d. perdita di chances, (cioè per la perdita della possibilità, da parte del lavoratore, di vedere migliorare la propria situazione).

L’indennità forfettaria viene attribuita senza che il lavoratore sia chiamato a provare alcunché. Ed infatti, sarà sufficiente dimostrare di aver accumulato più di 36 mesi, anche non continuativi, alle dipendenze della P.A. con contratti a tempo determinato.
Per ottenere, invece, il risarcimento del danno per la c.d perdita di chances è richiesto l’assolvimento, da parte del lavoratore, di un pesante (e verrebbe da dire quasi impossibile) onere probatorio. Costui dovrà, infatti, dimostrare che se, ad esempio, l’Amministrazione avesse regolarmente indetto un concorso egli sarebbe risultato vincitore o, comunque, che talune possibilità di impiego alternative siano sfumate a causa del rapporto a termine instaurato con l’Amministrazione.
Ne consegue che il precario statale avrà automatico riconoscimento all’indennità forfettaria, ma ottenere un risarcimento maggiore sarà quasi impossibile.
Non spetterebbe, inoltre, al precario statale la c.d. stabilizzazione, il diritto – cioè – ad ottenere la conversione del proprio contratto di lavoro da contratto a termine a contratto a tempo indeterminato.
Secondo l’orientamento attualmente maggioritario, infatti, la legge italiana [5] vieterebbe ai giudici di operare detta conversione.  Se non ci fosse detto divieto – sostengono i fautori di questo orientamento – sarebbe minato un importante principio costituzionale, che impone alle pubbliche amministrazioni di assumere personale solo a seguito di procedure selettive [6]. In altri termini, chi sostiene questa tesi ritiene che se fosse possibile trasformare il contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, sarebbe facile per la Pubblica Amministrazione eludere l’obbligo di predisporre un bando di concorso per l’accesso al pubblico impiego.

Ebbene, alcuni giudici non sono d’accordo e ritengono che il divieto di stabilizzazione per i precari statali sia illegittimo.
Vediamo perché.
In primo luogo perché un analogo divieto non vale per il lavoratore privato. La conversione del rapporto di lavoro - vietata nel settore del lavoro pubblico  - è, infatti, perfettamente applicabile nell’ambito del lavoro privato, ove se il contratto a termine prosegue oltre il trentaseiesimo mese, esso sarà automaticamente convertito in contratto a tempo indeterminato.
Nel settore privato, quindi, il lavoratore (che sia vittima del medesimo abuso subito del lavoratore pubblico) è destinatario di una tutela sicuramente maggiore in quanto potrà ottenere non solo "il posto fisso di lavoro", ma anche un’indennità forfettaria. Detta indennità, che abbiamo visto essere l’unica certezza per il precario pubblico, rappresenta solo la "ciliegina sulla torta" per il precario privato. Per quest’ultimo, infatti, l’indennità forfettaria non rappresenta l’elemento fondamentale del rimedio, ma è di mero contorno e serve solo a ripagarlo per l’attesa del tanto anelato posto fisso di lavoro.
Evidente, quindi, come due soggetti pur trovandosi nella medesima situazione siano destinatari di due trattamenti completamente differenti, sol perché appartengono a diversi settori (il pubblico ed il privato).
E la differenza è davvero eclatante se si considera che:
  • il lavoratore privato non deve provare assolutamente nulla per ottenere il posto di lavoro e l’indennità forfettaria. Basterà, infatti, dimostrare l’intervenuto superamento del trentaseiesimo mese di precariato;
  • il lavoratore pubblico, al contrario, non solo dovrà togliersi dalla mente il "posto fisso", ma per ricevere un risarcimento superiore all’indennità forfettaria, dovrà fare i salti mortali. Dovrà far credere che se la P.A. avesse bandito un concorso lui lo avrebbe superato, dovrà sostenere (non si sa come!) che la qualità della sua vita sarebbe migliorata. In poche parole: dovrà dimostrare l’indimostrabile.

Orbene, è pur vero che l’indennità forfettaria prevista quale ristoro per il precario statale non è da buttar via e tutti dovrebbero ricorrere per ottenerla. È anche vero, però, che si tratta di poca cosa a fronte di un contratto a tempo indeterminato, l’unico idoneo a garantire stabilità e tranquillità.
Proprio per questi motivi, i giudici schieratisi "dalla parte del precario statale" ritengono che l’indennità forfettaria debba essere considerata un punto di partenza e non un punto di arrivo se si vuole garantire una tutela adeguata anche al precario che lavora nel pubblico impiego e se davvero non si può concedere al precario statale la stessa tutela che spetta al precario privato, quanto meno le due tutele – pur se diverse – devono essere equivalenti.
Ciò posto, del tutto insufficiente si rivelerebbe l’indennità quantificata tra le 2,5 e 12 mensilità. Al precario statale, di contro, dovrebbe essere riconosciuto un risarcimento molto superiore il cui valore dovrebbe per lo meno eguagliare il valore economico del posto di lavoro negatogli.
I fautori di questo orientamento non si lasciano intimidire nemmeno dai "vincoli costituzionali". Come noto, la nostra Carta Costituzionale, sebbene si ponga in vetta ad ogni norma di diritto è comunque destinata a soccombere di fronte al diritto dell’Unione Europea [6], che - come abbiamo detto sopra - tutela il lavoratore (a prescindere dal settore in cui costui presti la propria attività).
Al riguardo, questi giudici "illuminati" fanno anche un ulteriore passo in avanti ragionando come segue.
Come abbiamo detto sopra, nel settore pubblico le assunzioni possono avvenire solo in forza di un pubblico concorso e ciò è espressamente previsto dall’art. 97 della Costituzione [7]. Quindi, prevedere la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, significherebbe inevitabilmente violare detto principio.  Principio che vale solo per il pubblico impiego: nel lavoro privato, infatti, non vige la "regola del concorso". Nulla osterebbe, quindi, all’assunzione del lavoratore privato al superamento del trentaseiesimo mese di precariato.
Fin qui tutto chiaro. Se non fosse per un dettaglio.
Anche per il lavoro privato vige un importante principio costituzionale, con la differenza che - in tal caso - non ci si è posti alcun problema a superalo, in nome di un più rilevante diritto (quale - appunto - la stabilizzazione) spettante al lavoratore del settore privato.
I costituzionalisti, infatti, sanno bene che l’art. 41 della Carta Fondamentale stabilisce che «l’iniziativa economica privata è libera».  Ma se è vero che l’iniziativa economica privata è libera, allora perché si costringe il datore di lavoro privato ad assumere il proprio dipendente, una volta che questi abbia superato il trentaseiesimo mese di precariato?
E soprattutto … perché l’art. 41 Cost. può essere sacrificato a favore del lavoratore privato, mentre di sacrificare l’art. 97 Cost. a favore del precario statale non se ne parla proprio?
Si tratta di interrogativi che fanno riflettere ed ai quali non è facile dare una risposta, tanto che molti giudici nazionali [8] si sono rivolti alla Corte di Giustizia Europea ed attualmente si è in attesa di un responso.

In tale attesa, cari precari statali ricorrete pure per ottenere la famosa indennità forfettaria, ma non rinunciate al sogno della stabilizzazione che potrebbe presto trasformarsi in un vostro indiscutibile diritto.

Siamo disponibili a fornire istruzioni e chiarimenti a chiunque fosse interessato.


[1] Direttiva 1999/70/CE del 28.06.1999.
[2] Cass. SS. UU. sentenza n. 5072 del 15.03.2016 (Conforme, ex multibus, Cass. sentenza n. 14633 del 18.07.2016).
[3] Si tratta dell’indennità  di cui all’art. 32 comma 5 della l. n. 183/2010.
[4] Art. 36 comma 5 d.lgs. n. 165/2001.
[5] Art. 97, 4 comma, Cost.: «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge». 
[6] C.d. principio di premazia del diritto comunitario. Cfr. art. 117 Cost.
[7] Art. 97, 4 comma, Cost. (cit.).
[8] ex multibus, Trib. di Trapani, ordinanza del 05.09.2016; Trib. di Foggia, ordinanza del 26.10.2016;

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