Le cure dei malati di Alzheimer sono a carico del
Servizio Sanitario Nazionale, che non può minacciarne le dimissioni.
Il Servizio Sanitario Nazionale ha l’obbligo morale e giuridico di
curare tutti i malati. Detto obbligo
sussiste (a maggior ragione) quando il paziente sia colpito da patologie acute o croniche, tali da
renderlo inguaribile o non autosufficiente.
È il caso dei malati di Alzheimer, i quali –
soprattutto negli stadi avanzati della patologia – necessitano di cure costanti
che richiedono personale specializzato e strumentazioni particolari.
Molte volte, infatti, la natura "tecnica" (sia medica che
infermieristica) delle cure necessarie per questi pazienti va al di là
dell’affetto familiare e domestico, sicché la continua assistenza e
sorveglianza impongono ineluttabilmente il loro ricovero
e la loro permanenza presso
gli ospedali o le case di cura convenzionate.
Nonostante ciò, in alcune strutture sanitarie pubbliche si verificano spesso
casi di dimissione forzata o di dirottamento al settore assistenziale di malati che, invece, necessiterebbero di
continue e irrinunciabili cure sanitarie.
L’interrogativo che, a questo punto, potrebbe sorgere è il
seguente.
I parenti del malato
che sia ricoverato in ospedale o in case di cura convenzionate possono opporsi
alle dimissioni?
La risposta è sì.
In base alla legge [1], infatti, il cittadino può sempre presentare
osservazioni e contestazioni in materia di sanità,
potendo – inoltre – opporre il proprio rifiuto
alle dimissioni dall’ospedale o dalla casa di cura.
In particolare, i congiunti del
malato o il malato stesso (se in grado di intendere e di volere) si possono
opporre alle dimissioni quando:
- Il paziente
non sia in grado si badare a se stesso;
- Il paziente
sia ancora malato. E cioè quando, nonostante sia passata la "fase
acuta" egli necessiti (attesa la cronicità della malattia) di ulteriori
cure che non possono essere praticate a casa, ma effettuate solo da un esperto
(infermiere o medico);
Il rifiuto delle dimissioni è inoltre
opponibile:
- Quando il malato e i suoi
congiunti non hanno denaro sufficiente per pagare il ricovero presso strutture private a pagamento;
- Quando i servizi domiciliari offerti dalla sanità (ASL) o dal Comune, non garantiscono un'assistenza completa, con la conseguenza
che il malato rischi di rimanere solo
per molte ore del giorno e della notte.
A tale ultimo proposito è bene
sottolineare che – nell’interesse del paziente – talvolta possono
ritenersi preferibili le c.d cure
domiciliari. Spesso, però, le attenzioni dei familiari non bastano e
l’assistenza di cui necessitano questi malati è tale da rendere impossibile o
comunque estremamente pericolosa la
loro permanenza a casa.
Vediamo perché.
Come scritto ad incipit del presente articolo, in base alle leggi vigenti, il
Servizio Sanitario Nazionale è obbligato per legge a prendersi cura di tutti i
malati. Di contro, i congiunti dei malati non sono obbligati a svolgere le
attività di competenza del Ssn e, quindi, non hanno alcun obbligo giuridico di
sostituirsi alla sanità.
Quanto detto comporta che, da un punto di vista
giuridico, accettare le dimissioni da ospedali e da case di cura convenzionate di un malato cronico, non autosufficiente ed incapace di programmare il
proprio futuro significa sottrarre
volontariamente il paziente dalle competenze del Ssn.
Non solo: ciò comporta, in capo ai congiunti che
accettino le dimissioni, l’assunzione di tutta una serie di responsabilità conseguenti alle cure
che devono essere necessariamente fornite al malato.
Dette responsabilità hanno natura non solo economica, ma anche di rilievo penale.
Le responsabilità
penali
Il parente che accetti le dimissioni di un malato
incapace o non autosufficiente, sostituendosi alla sanità, si assume anche la
responsabilità di prendersi cura del
malato e di assisterlo - se necessario -
24 ore su 24.
Si tratta di situazioni non facilmente gestibili
in ambito domestico. Tuttavia, una volta assunta la predetta responsabilità,
qualora si infranga l’obbligo di continua cura ed assistenza, potrebbe configurarsi il
reato di abbandono di persone incapaci previsto
dal codice penale [2] e punito con la reclusione
da 6 mesi a 5 anni.
Gli oneri economici
Accettare le dimissioni di un proprio congiunto
significa inevitabilmente far gravare sul budget familiare gli oneri economici
conseguenti alle cure che devono essere fornite al malato.
Di contro, nessun contributo economico può essere
richiesto ai congiunti dei pazienti che, ricoverati
presso le RSA o analoghi complessi, siano malati di Alzheimer o colpiti da
altre patologie parimenti invalidanti.
Ed infatti, in base alla legge [3] ed alla più copiosa
giurisprudenza sul punto [4], in tali ipotesi spetta al Servizio
Sanitario Nazionale farsi carico di tutti
i costi.
In caso di
prosecuzione del ricovero, quindi, nulla è dovuto dal paziente o dai parenti di
quest’ultimo, né tantomeno la struttura sanitaria potrebbe minacciarne le dimissioni senza esporsi al rischio che vengano commessi dei reati.
Da un punto di vista prettamente pratico, per
opporsi alle dimissioni da ospedali e da case di
cura degli anziani malati cronici non autosufficienti e delle persone colpite
dal morbo di Alzheimer o da altre forme di demenza senile è necessario inviare una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno indirizzata
al Direttore Generale dell’Asl
di residenza del malato e (se del caso) al Direttore Generale dell’Asl in cui
ha sede l’ospedale o la casa di cura.
Al riguardo si tenga a mente che, alla luce di
tutto quanto detto e delle responsabilità (non solo economiche, ma anche
penali) alle quali si va incontro, talvolta opporre il proprio rifiuto alle
dimissioni di un malato di Alzheimer, potrebbe rappresentare non solo un diritto, ma anche un dovere per i congiunti.
[1] In particolare, l’articolo 41 della legge 12 febbraio 1968 n. 132 prevede che il
cittadino possa presentare apposito ricorso in via amministrativa contro le
dimissioni.
L’articolo 4 della legge 23 ottobre 1985 n. 595 e l’articolo 14, n. 5 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502 consentono, inoltre, ai cittadini di presentare osservazioni e opposizioni in materia di sanità.
L’articolo 4 della legge 23 ottobre 1985 n. 595 e l’articolo 14, n. 5 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502 consentono, inoltre, ai cittadini di presentare osservazioni e opposizioni in materia di sanità.
[2] Art. 591 cod. pen.
[3] Cfr. art. 30 della legge 730 del 1983 e successive modificazioni
[4]
Cfr., ex multibus, Trib. Monza, sent.
n. 617 del 1.3.2017; Trib. Verona, sent. n. 689 del 21.3.2016; Cass., sent. n.
2276 del 9.11.2016.
Studio Legale Samperisi&Zarrelli
Produzione riservata
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