Il Tribunale di Grosseto riconosce ad una segretaria precaria oltre 100 mila euro di risarcimento
La stipulazione di molteplici
contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) può
dar luogo all’instaurazione di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato.
Molte volte, infatti, nel
concreto svolgersi dei rapporti di lavoro, dietro la fittizia apparenza di una collaborazione autonoma, si
cela la natura subordinata del rapporto di lavoro.
In tali
casi, dunque, lo strumento dei co.co.co altro non rappresenta se non un
escamotage per eludere la normativa
sul lavoro subordinato e per violare i diritti dei lavoratori
dipendenti.
Tuttavia,
qualora si accerti che – nella realtà dei fatti – il rapporto di impiego si sia
svolto con le modalità tipiche
della subordinazione, al
lavoratore spetteranno - sin dall’inizio del rapporto di lavoro - tutte le tutele del lavoro dipendente.
In questi
casi, quindi, saranno dovute al lavoratore le differenze
retributive (tra il compenso previsto dal contratto di “co.co.co” e lo
stipendio
che gli
sarebbe spettato come dipendente) e la regolarizzazione
previdenziale come lavoratore
subordinato (di cui all’art. 2126 cod. civ.).
Detto
principio è stato più volte affermato dai giudici: l’utilizzazione
“fraudolenta” da parte dei datori di lavoro della c.d. collaborazione
coordinata e continuativa è sempre da condannare.
Al riguardo,
tuttavia, il Tribunale di
Grosseto ha emesso una
condanna che si potrebbe definire esemplare.
A “far
rumore” è stata una sentenza [1] di alcuni giorni fa con la quale
il Tribunale di Grosseto ha riconosciuto un risarcimento
record di oltre 100 mila
euro nei confronti di una
lavoratrice che ha svolto per moltissimi anni l’attività di segretaria presso un Ordine dei medici della
provincia di Grosseto.
La
lavoratrice era stata assunta nel 1981 con contratto di collaborazione
coordinata e continuativa (co.co.co.). Nonostante, nel tempo, fosse diventata
una risorsa strutturata e si fosse instaurato – di fatto – un rapporto di lavoro subordinato,
il contratto di lavoro iniziale era rimasto immutato, proseguendo per ben 34 anni.
Le
illegittime proroghe, infatti, si sono susseguite fino a quando – nel 2015 –
l’impiegata è stata licenziata senza preavviso, senza il riconoscimento
dell’indennità di fine rapporto e senza aver diritto a un trattamento
pensionistico adeguato.
Più che
evidente, dunque, l’ingiustizia subita dalla lavoratrice.
Ed infatti,
il giudice del lavoro, accertato che sotto le mentite spoglie di una
collaborazione coordinata e continuativa altro non si celava se non un rapporto
di lavoro subordinato, ha stabilito a favore della “ex Co.co.co.” un
risarcimento esemplare.
L’Ordine dei medici presso il quale la lavoratrice ha prestato per moltissimi anni la propria attività di segretaria è stato condannato al pagamento di 99 mila euro a titolo di indennità di anzianità e di trattamento di fine rapporto, di oltre 2 mila euro a titolo di indennità per ferie non godute e di 10 mila euro a titolo di indennità di mancato preavviso. Il giudice, inoltre, ha condannato l’Ordine dei Medici alla costituzione in favore della dipendente di una rendita vitalizia corrispondente al trattamento pensionistico che le sarebbe stato erogato ove il datore di lavoro avesse versato i corrispondenti contributi previdenziali.
L’Ordine dei medici presso il quale la lavoratrice ha prestato per moltissimi anni la propria attività di segretaria è stato condannato al pagamento di 99 mila euro a titolo di indennità di anzianità e di trattamento di fine rapporto, di oltre 2 mila euro a titolo di indennità per ferie non godute e di 10 mila euro a titolo di indennità di mancato preavviso. Il giudice, inoltre, ha condannato l’Ordine dei Medici alla costituzione in favore della dipendente di una rendita vitalizia corrispondente al trattamento pensionistico che le sarebbe stato erogato ove il datore di lavoro avesse versato i corrispondenti contributi previdenziali.
[1] resa nota dal portale "Il Giunco.net"
Samperisi&Zarrelli Studio Legale
Produzione riservata
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