Anche
la giustizia paga poco i suoi collaboratori!
Non
sempre il lavoro svolto dagli ausiliari del giudice, viene retribuito
dignitosamente e proporzionalmente alla quantità e qualità del lavoro prestato.
La
realtà è tutt'altra.
Ogni
magistrato, al fine di decidere secondo giustizia, può contare sulla
professionalità di numerosi esperti: ad esempio di periti per la soluzione di
una questione tecnica; di interpreti per la comprensione di una lingua
straniera; di consulenti per l'approfondimento di questioni scientifiche che si
dovessero profilare nel corso del giudizio.
Nonostante
le alte competenze richieste, i compensi di detti professionisti sono bassissimi.
Tali emolumenti, in particolare, possono essere di tre tipologie: fissi, variabili e a
tempo.
In tutte e tre le ipotesi si tratta di riconoscimenti
economici di modestissima entità ed in ogni caso lontani dalle tariffe di
mercato. Ma ad avere la peggio sono i professionisti con onorario a tariffazione
oraria, primi tra tutti gli interpreti ed i traduttori.
Gli onorari a tariffazione
oraria sono quelli che si determinano commisurandoli al tempo necessario
per il completo svolgimento dell’incarico: l'unità di tempo è denominata vacazione ed è composta da due ore.
L'onorario
per la prima vacazione è pari ad € 14,68, mentre quelle successive sono
remunerate con 8,15 €, con il
risultato che - mediamente - questi professionisti sono pagati poco più di 4 €
lordi l'ora.
La previsione di siffatti compensi, di gran lunga inferiori
rispetto a quelli previsti per qualsiasi prestazione lavorativa, anche la più
umile e meno qualificata, è sicuramente in contrasto con i principi
costituzionali in tema di tutela del lavoro e di equa ed adeguata retribuzione
delle prestazioni lavorative.
Eppure,
il più delle volte, si tratta di prestazioni gravose, difficili e
delicate, oltre che obbligatorie: infatti l'ausiliario del giudice ha
l'obbligo giuridico di prestare la propria opera e qualora si
rifiuti commette il reato di "rifiuto di uffici legalmente
dovuti" punito dall'art. 366 c.p., rischiando la reclusione fino a 6 mesi.
Ciò posto, tali lavoratori - nonostante il
possesso di specifiche qualifiche poste al servizio dell'accertamento della
giustizia - sono soggetti per legge ad un palese sfruttamento economico ad
opera dello Stato, che invece dovrebbe tutelarli ed assicurare loro un congruo
compenso per le prestazioni svolte.
Molte volte gli ausiliari dei magistrati
hanno cercato di far valere il loro diritto ad una più dignitosa retribuzione.
Questo diritto, però, gli è stato sempre negato. Alla base del diniego si
porrebbe, secondo l'orientamento sin'ora dominante, la natura pubblicistica della funzione svolta.
Secondo i fautori di questa impostazione,
infatti, la natura pubblicistica dell'incarico giustificherebbe il ricorso ad
onorari irrisori e di gran lunga inferiori rispetto a quelli di mercato.
Questo modo di argomentare non convince.
Ed infatti, se questo ragionamento fosse
corretto, dovrebbe applicarsi a tutti i soggetti che svolgono funzioni di
rilievo pubblicistico: anche i Parlamentari quindi (e non solo gli interpreti o
gli altri ausiliari del giudice), dovrebbero ricevere un compenso di 4 euro
l'ora circa.
Delle due l'una: o la natura pubblicistica
vale per tutte le categorie dei soggetti che la rivestono; oppure è evidente
che ci si trova di fronte ad una palese discriminazione e violazione del
principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.
Ma non è tutto.
Come se non bastasse, ad aggravare la situazione
è intervenuta la Legge di Stabilità del 2014, che ha determinato la riduzione
di 1/3 degli emolumenti (già di per sé bassissimi) spettanti a questa categoria
di professionisti per le prestazioni svolte nei giudizi di gratuito patrocinio.
Detta ulteriore riduzione è stata
dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale che, nel 2015 (con la
sentenza n. 192), ha posto l'accento su un altro aspetto della vicenda,
rivelando - così - un ulteriore pregiudizio sofferto per anni da questa
categoria.
Si consideri, infatti, che l'art. 54 del
Testo Unico sulle Spese di Giustizia impone
l'aggiornamento degli onorari di questi professionisti «ogni tre anni in
relazione alla variazione accertata dall'ISTAT dell'indice dei prezzi al
consumo per le famiglie di operai impiegati».
Detta in maniera semplice, ogni tre anni il
Governo avrebbe dovuto parametrare i compensi in parola all'aumento del costo
della vita.
Tale adeguamento, tuttavia, non è mai stato
posto in essere, con la conseguenza che tali compensi sono rimasti ancorati ai
parametri fissati nel 2002 e - dunque - uguali a quelli previsti più di 15 anni fa.
Per inciso si consideri che - al contrario
- il Governo è stato solerte nell'adeguare "al costo della vita" le
spese di giustizia prevedendo puntualmente degli aumenti contributivi a carico dei cittadini
(a titolo esemplificativo, si consideri che i diritti di copia e di certificato
hanno subito due recentissimi adeguamenti nel giro di due anni).
L'omissione dell'adeguamento da
parte del Governo in favore degli ausiliari di giustizia altro non rappresenta se non un "deplorevole
inadempimento" da parte dello stesso, nei confronti di professionisti che
- dunque - avranno diritto
al rimborso degli importi di
loro precipua spettanza in ragione dell'attività espletata.
In concreto, detto adeguamento determina per il passato il
sorgere di un diritto al rimborso e per il futuro la previsione di compensi maggiorati
secondo i crismi di legge.
Allo stato, infatti, appare non più
differibile, da parte del Governo, l'adempimento di un obbligo sorto più di 15
anni fa e non più accettabile una sistematica violazione dei diritti retributivi dei lavoratori.
Samperisi&Zarrelli Studio Legale
Produzione riservata
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