Era
il 20 dicembre 2006 quando moriva Piergiorgio
Welby, consumato dalla distrofia
muscolare che lo aveva costretto a quella che lui stesso definiva una «prigione infame». Prigione dalla quale
aveva deciso di liberarsi.
Oggi
la notizia di un’altra tragica morte accompagnata dalla stessa volontà. Alle 11,40
si è spento Dj Fabo, che «ha scelto di andarsene rispettando le regole
di un Paese che non è il suo». Regole che, purtroppo, in Italia ancora non
esistono. La questione del c.d. "fine vita" nel nostro Paese soffre
ancora di un vuoto legislativo, i cui nodi fondamentali sono ancorati forse più
a questioni di coscienza che di mera politica.
Pochi
giorni prima di morire, come noto alle cronache giudiziarie, Welby mandò all’allora
Presidente della Repubblica (Giorgio Napolitano) una lettera struggente.
Eccone
alcuni passi:
«Caro Presidente,
scrivo a Lei, e attraverso Lei mi rivolgo anche a quei cittadini che avranno la possibilità di ascoltare queste mie parole, questo mio grido, che non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese…
scrivo a Lei, e attraverso Lei mi rivolgo anche a quei cittadini che avranno la possibilità di ascoltare queste mie parole, questo mio grido, che non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese…
Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il
vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico.
Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti
delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che
mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel
mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio ... è
lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti. Montanelli mi capirebbe.
Se fossi svizzero, belga o olandese
potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c’è
pietà.
Starà pensando, Presidente, che sto invocando per
me una “morte dignitosa”. No, non si tratta di questo. …
Sua Santità, Benedetto XVI, ha detto che “di fronte alla pretesa, che spesso affiora, di eliminare la sofferenza, ricorrendo perfino all’eutanasia, occorre ribadire la dignità inviolabile della vita umana, dal concepimento al suo termine naturale”. Ma che cosa c’è di “naturale” in una sala di rianimazione? Che cosa c’è di naturale in un buco nella pancia e in una pompa che la riempie di grassi e proteine? Che cosa c’è di naturale in uno squarcio nella trachea e in una pompa che soffia l’aria nei polmoni? Che cosa c’è di naturale in un corpo tenuto biologicamente in funzione con l’ausilio di respiratori artificiali, alimentazione artificiale, idratazione artificiale, svuotamento intestinale artificiale, morte-artificialmente-rimandata? Io credo che si possa, per ragioni di fede o di potere, giocare con le parole, ma non credo che per le stesse ragioni si possa “giocare” con la vita e il dolore altrui.
Quando un malato terminale decide di rinunciare
agli affetti, ai ricordi, alle amicizie, alla vita e chiede di mettere fine ad
una sopravvivenza crudelmente ‘biologica’ – io credo che questa sua volontà
debba essere rispettata ed accolta con quella pietas che rappresenta la forza e
la coerenza del pensiero laico»…
Il 16 dicembre 2006 il Tribunale di Roma respinse la richiesta di Welby,
dichiarandola inammissibile per via del vuoto
legislativo su questa materia.
Da allora sono passati più di 10 anni ed il vuoto
legislativo non è ancora stato colmato, nonostante il caso Englaro, nonostante le "battaglie"
dell’Associazione Coscioni, nonostante l'appello (poco prima di morire) di DJ Fabo al presidente della Repubblica
Sergio Mattarella per «sbloccare lo Stato
di impasse voluto dai parlamentari».
In realtà il dibattito sull’eutanasia è stato avviato già da molto
tempo in Parlamento, ma per la delicatezza, per la tragicità e la difficoltà del
tema non si riescono a sciogliere dei nodi fondamentali ancorati più alla coscienza di ognuno che a questioni di
mera politica.
Lo scorso 4 febbraio la Commissione Affari Sociali della Camera ha
cominciato a discutere delle c.d. D.A.T.
(Dichiarazioni Anticipate di Testamento).
Si tratta di una proposta di legge contenuta in un testo base, sul quale gli
onorevoli saranno chiamati a pronunciarsi prima che il provvedimento approdi in
aula (forse a marzo).
Detta proposta di legge ha scatenato un mai sopito dibattito, poiché
potrebbe comportare l’introduzione nel nostro ordinamento dell’eutanasia passiva o del suicidio assistito a carico dello Stato.
L’art. 3 del testo in parola stabilisce, infatti, che «ogni
persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di una
propria futura incapacità di autodeterminarsi può, attraverso Disposizioni
anticipate di trattamento (D.A.T.), esprimere (…) il consenso o il rifiuto
rispetto e scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, ivi comprese
le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali» che, come noto,
sono le uniche forme di sostegno vitale in tali casi.
Il medico, secondo la proposta di legge in parola, sarà chiamato a
rispettare la volontà del paziente ed in conseguenza di ciò verrebbe esonerato
da ogni responsabilità civile e penale.
Attualmente, l’eutanasia è legale in Olanda, Belgio (ove nel 2015
per la prima volta l’eutanasia è stata "concessa" anche ad una 17enne
malata terminale), Lussemburgo e Svizzera.
In Italia, come detto, i lavori sono "ancora in corso". Si
tratta, purtroppo, di una tematica che va ben oltre la differenza tra ciò che è
giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che è lecito e ciò che potrebbe sembrare
iniquo. Si tratta di una tematica che tocca le coscienze, campo in cui è quanto
mai difficile discernere il bianco dal nero ed ove le sfumature si colorano di un
grigio talvolta impenetrabile.
Studio Legale Samperisi & Zarrelli
Produzione riservata
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