Nel timido sole di questa domenica di fine gennaio, dove le ultime foglie gialle si staccano da nudi e mesti platani, vorremmo raccontare, e ricordare, la storia di un uomo, un Collega, onesto e coraggioso, ucciso il 9 novembre del 1995, a Catania, con sei colpi di pistola.
L’avvocato penalista che per garantire il diritto alla difesa sancito dalla Costituzione si trovava a difendere anche personaggi inquisiti per reati legati alla mafia e alla criminalità organizzata finendo per essere visto dalla società civile come complice dei mafiosi, e dai suoi stessi clienti come troppo amico dei magistrati tanto da non fare i loro interessi.
Era l'Avvocato Serafino Famà.
Mandante del suo omicidio, secondo la sentenza della Corte D’Assise di Catania del 4 novembre 1999, fu il boss Giuseppe Maria Di Giacomo, all'epoca difeso dallo stesso avvocato Famà il quale aveva deciso di non far testimoniare Stella Corrado, cognata e amante di Di Giacomo, in un processo che lo vedeva imputato per porto abusivo d’arma da fuoco e per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Famà ritenne opportuno far astenere la cognata in quanto prossima congiunta e Di Giacomo, in seguito, venne condannato.
Dal carcere nel quale era recluso, il boss trasmise ordini precisi: l'omicidio di un uomo corretto doveva avvenire in modo eclatante, sì da essere monito per tutti di quale fosse il rischio nel non assecondare le richieste dei boss.
Nelle motivazioni della sentenza di colpevolezza a carico di Di Giacomo e degli esecutori materiali del delitto, tutti condannati all’ergastolo, si legge: “Le risultanze processuali pertanto, per come sopra evidenziato, hanno dimostrato che il movente dell’omicidio in esame va individuato esclusivamente nel corretto esercizio dell’attività professionale espletata dall’avvocato Famà”.
Non possiamo non mostrare tutta la nostra stima, umana e professionale, per un uomo che, libero e integro, difficilmente poteva esser tollerato e che ha lasciato un grande esempio di civiltà giuridica oltre che antropica.
Purtroppo, però, la criminalità e il malaffare non sembrano retrocedere.
Anzi si fortificano.
Come denunciato dal Procuratore Roberto Scarpinato in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario, il ritorno diffuso dell'omertà come sistema di vita e la deliberata ricerca di corruzione sono due verità che fanno il paio con il rinvingorimento della mafia.
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