Chi vende un’attività non può - per i successivi cinque anni - avviarne
un’altra che sia idonea a sviare
la clientela di quella venduta.
Pensiamo alla
seguente situazione: un soggetto, titolare di un negozio ben avviato, è intenzionato
a vendere la sua attività.
Immaginiamo che
si tratti di un negozio di vestiti ed accessori di una determinata marca o,
comunque, destinati a soddisfare precisi gusti ed una cerchia di clienti "affezionati".
Il titolare del
negozio, dopo varie ricerche, trova un soggetto interessato all’acquisto e gli
propone l’affare. Le parti, quindi, si mettono d’accordo e concludono il
contratto avente ad oggetto, appunto, la cessione del suddetto negozio.
Fin qui tutto
liscio: l’acquirente, sebbene con alcune difficoltà, riesce a portare avanti il
negozio che ha comprato dal precedente titolare. Dopo un po’, però, si accorge
che chi prima era solito recarsi in quel negozio per comprare quei vestiti e
quei determinati accessori non ci va più.
Avvilito e
consapevole di aver perso un’importante fetta di clienti, il negoziante
dapprima si chiede dove e cosa possa aver mai sbagliato, in un secondo momento
– però – comincia ad insospettirsi ed a pensare che forse la gente preferisce
andare altrove a comprare quella determinata merce. Si, ma dove?
Ecco la
risposta: dopo alcune ricerche, il nostro negoziante si rende conto che, pochi
mesi dopo l’acquisto del suo negozio, lo stesso soggetto che glielo aveva
venduto ha aperto un’altra attività. Attività destinata alla vendita della
medesima merce e collocata a poche
centinaia di metri dal suo negozio.
La domanda, a
questo punto, sorge spontanea: quali le tutele per l’acquirente del negozio?
Al riguardo, il nostro codice civile prevede un’apposita
norma [1] che recita così: «colui
che aliena l’azienda si deve astenere, per il periodo di cinque anni dal
trasferimento, dall’iniziare un’altra impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o
altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta».
Chi vende
un’azienda o un’attività commerciale, quindi, non può comportarsi come il venditore
del negozio protagonista del nostro esempio. Siffatto modo di agire, infatti,
si manifesterebbe del tutto sleale e
comporterebbe la palese violazione del
divieto di concorrenza.
Qual è la ratio del divieto di concorrenza?
La ratio del
divieto è naturalmente quella di tutelare l’acquirente, il quale
solitamente corrisponde una somma a titolo di avviamento, consistente nella speranza di ottenere, in futuro,
redditi simili a quelli di chi gli ha venduto l’attività e che potrebbe essere
gravemente danneggiato da un comportamento concorrenziale dell’originario titolare
della medesima. Quest’ultimo, infatti, in assenza del divieto in commento,
potrebbe successivamente alla cessione dell’azienda intraprendere un’attività
identica, o simile, che sia in grado – proprio come è avvenuto nel nostro
esempio - di "portarsi dietro" la clientela dell’azienda venduta.
Al contrario,
strettamente connesso con il divieto di concorrenza, inteso come possibile
sviamento della clientela, è considerato l’obbligo per chi aliena l’azienda di
agevolare il trasferimento della clientela, trasmettendo all’acquirente le
notizie di rilievo, in particolare l’elenco dei clienti e dei fornitori e i
conteggi a loro relativi.
Quanto può durare il divieto di concorrenza?
Il divieto di
concorrenza non può avere una durata superiore a cinque anni. Se la durata non è stabilita o è previsto che sia
superiore, vale comunque il limite dei cinque anni.
Che
natura ha e qual è la portata del divieto di concorrenza?
Il divieto di non concorrenza costituisce un effetto naturale del contratto di
cessione di azienda, esso vale a integrare l’accordo anche se le parti non lo
abbiano previsto, però la loro volontà ne potrebbe restringere la portata o
addirittura escluderla.
In merito,
invece, alla possibilità di ampliare
l’ambito applicativo del divieto di concorrenza, la legge [2] consente alle parti di procedere in
tal senso, purché non si impedisca al cedente di esercitare ogni attività
d’impresa e fermo restando il limite temporale del quinquennio dalla
data del trasferimento.
Qual è l’oggetto del divieto di concorrenza?
In relazione
all’oggetto del divieto di concorrenza, esso è limitato all’idoneità dell’impresa a sviare la clientela di quella venduta.
Si deve trattare,
quindi, di fattispecie nelle quali gli articoli o i beni trattati siano i medesimi o
comunque simili a quelli dell’azienda oggetto di trasferimento.
Sul punto, un
ruolo fondamentale gioca altresì l’ubicazione
della nuova attività. Oltre ai suddetti limiti temporali il divieto in parola
incontra anche limiti di spazio
e può ritenersi valido esclusivamente
nella zona di azione commerciale dell’impresa alla quale è relativa l’azienda
ceduta. Ed infatti, tale divieto non può applicarsi qualora, pur in presenza di
un’identità merceologica, la nuova
attività del cedente sia ubicata in luoghi lontani e tali da non incidere sul
medesimo bacino d’utenza.
Un ulteriore
aspetto che non può essere trascurato è il seguente.
In tali casi, invero, è bene sapere che non sono rari i
tentativi dell’alienante (e originario titolare dell’attività) di sottrarsi al
divieto di concorrenza con mezzi elusivi, come ad esempio imprese o ditte esercitate sotto nome altrui o a mezzo di società
di comodo. Si parla, al riguardo, di esercizio
"indiretto" di impresa, parimenti illegittimo.
Come si deve tutelare l’acquirente in caso di
violazione del divieto di concorrenza?
Dalla violazione
del divieto di concorrenza deriva una responsabilità
c.d. contrattuale.
Ciò comporta,
in capo a chi ha subito il danno, la possibilità
di risolvere il contratto e cioè di far "cadere nel nulla" la
stipulazione concernente la cessione dell’attività. A tal fine non è necessario
dimostrare di aver subito un danno concreto, essendo sufficiente la semplice
potenzialità che esso si verifichi in conseguenza della contraria condotta altrui.
Tale prova,
invece, è necessaria ai fini della richiesta
di risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.
[1] Art. 2557 del cod. civ.
[2] Art. 2557, comma 2, del cod. civ.
Studio Legale Samperisi&Zarrelli
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