venerdì 21 luglio 2017

Cos’è il divieto di concorrenza?


Chi vende un’attività non può - per i successivi cinque anni - avviarne un’altra che sia idonea a sviare la clientela di quella venduta.
 
Pensiamo alla seguente situazione: un soggetto, titolare di un negozio ben avviato, è intenzionato a vendere la sua attività.
Immaginiamo che si tratti di un negozio di vestiti ed accessori di una determinata marca o, comunque, destinati a soddisfare precisi gusti ed una cerchia di clienti "affezionati".
Il titolare del negozio, dopo varie ricerche, trova un soggetto interessato all’acquisto e gli propone l’affare. Le parti, quindi, si mettono d’accordo e concludono il contratto avente ad oggetto, appunto, la cessione del suddetto negozio.
Fin qui tutto liscio: l’acquirente, sebbene con alcune difficoltà, riesce a portare avanti il negozio che ha comprato dal precedente titolare. Dopo un po’, però, si accorge che chi prima era solito recarsi in quel negozio per comprare quei vestiti e quei determinati accessori non ci va più.
Avvilito e consapevole di aver perso un’importante fetta di clienti, il negoziante dapprima si chiede dove e cosa possa aver mai sbagliato, in un secondo momento – però – comincia ad insospettirsi ed a pensare che forse la gente preferisce andare altrove a comprare quella determinata merce. Si, ma dove?
Ecco la risposta: dopo alcune ricerche, il nostro negoziante si rende conto che, pochi mesi dopo l’acquisto del suo negozio, lo stesso soggetto che glielo aveva venduto ha aperto un’altra attività. Attività destinata alla vendita della medesima merce e collocata  a poche centinaia di metri dal suo negozio.
La domanda, a questo punto, sorge spontanea: quali le tutele per l’acquirente del negozio?
Al riguardo, il nostro codice civile prevede un’apposita norma [1] che recita così:  «colui che aliena l’azienda si deve astenere, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare un’altra impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta».
Chi vende un’azienda o un’attività commerciale, quindi, non può comportarsi come il venditore del negozio protagonista del nostro esempio. Siffatto modo di agire, infatti, si manifesterebbe del tutto sleale e comporterebbe la palese violazione del divieto di concorrenza.

Qual è la ratio del divieto di concorrenza?

La ratio del divieto è naturalmente quella di tutelare l’acquirente, il quale solitamente corrisponde una somma a titolo di avviamento, consistente nella speranza di ottenere, in futuro, redditi simili a quelli di chi gli ha venduto l’attività e che potrebbe essere gravemente danneggiato da un comportamento concorrenziale dell’originario titolare della medesima. Quest’ultimo, infatti, in assenza del divieto in commento, potrebbe successivamente alla cessione dell’azienda intraprendere un’attività identica, o simile, che sia in grado – proprio come è avvenuto nel nostro esempio - di "portarsi dietro" la clientela dell’azienda venduta.
Al contrario, strettamente connesso con il divieto di concorrenza, inteso come possibile sviamento della clientela, è considerato l’obbligo per chi aliena l’azienda di agevolare il trasferimento della clientela, trasmettendo all’acquirente le notizie di rilievo, in particolare l’elenco dei clienti e dei fornitori e i conteggi a loro relativi.

Quanto può durare il divieto di concorrenza?

Il divieto di concorrenza non può avere una durata superiore a cinque anni. Se la durata non è stabilita o è previsto che sia superiore, vale comunque il limite dei cinque anni.


Che natura ha e qual è la portata del divieto di concorrenza?

Il divieto di non concorrenza costituisce un effetto naturale del contratto di cessione di azienda, esso vale a integrare l’accordo anche se le parti non lo abbiano previsto, però la loro volontà ne potrebbe restringere la portata o addirittura escluderla.
In merito, invece, alla possibilità di ampliare l’ambito applicativo del divieto di concorrenza, la legge [2] consente alle parti di procedere in tal senso, purché non si impedisca al cedente di esercitare ogni attività d’impresa e fermo restando il limite temporale del quinquennio dalla data del trasferimento.

Qual è l’oggetto del divieto di concorrenza?

In relazione all’oggetto del divieto di concorrenza, esso è limitato all’idoneità dell’impresa a sviare la clientela di quella venduta.
Si deve trattare, quindi, di fattispecie nelle quali gli articoli o i beni trattati siano i medesimi o comunque simili a quelli dell’azienda oggetto di trasferimento.
Sul punto, un ruolo fondamentale gioca altresì l’ubicazione della nuova attività. Oltre ai suddetti limiti temporali il divieto in parola incontra anche limiti di spazio e  può ritenersi valido esclusivamente nella zona di azione commerciale dell’impresa alla quale è relativa l’azienda ceduta. Ed infatti, tale divieto non può applicarsi qualora, pur in presenza di un’identità merceologica, la nuova attività del cedente sia ubicata in luoghi lontani e tali da non incidere sul medesimo bacino d’utenza.
Un ulteriore aspetto che non può essere trascurato è il seguente.
In tali casi, invero, è bene sapere che non sono rari i tentativi dell’alienante (e originario titolare dell’attività) di sottrarsi al divieto di concorrenza con mezzi elusivi, come ad esempio imprese o ditte esercitate sotto nome altrui o a mezzo di società di comodo. Si parla, al riguardo, di esercizio "indiretto" di impresa, parimenti illegittimo.

Come si deve tutelare l’acquirente in caso di violazione del divieto di concorrenza?

Dalla violazione del divieto di concorrenza deriva una responsabilità c.d. contrattuale.
Ciò comporta, in capo a chi ha subito il danno, la possibilità di risolvere il contratto e cioè di far "cadere nel nulla" la stipulazione concernente la cessione dell’attività. A tal fine non è necessario dimostrare di aver subito un danno concreto, essendo sufficiente la semplice potenzialità che esso si verifichi in conseguenza della contraria condotta altrui.
Tale prova, invece, è necessaria ai fini della richiesta di risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.


[1] Art. 2557 del cod. civ.

[2] Art. 2557, comma 2, del cod. civ.

Studio Legale Samperisi&Zarrelli
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