Se la fatiscenza delle case degli enti
previdenziali è causa di degrado dell’intera zona urbana, ai vicini spetta il
risarcimento del danno
Di
fronte al condominio in cui abito ci sono altri due condomini di proprietà di
un ente previdenziale, che versano in condizioni fatiscenti, tali da creare
seri problemi a tutto il vicinato. Le abitazioni circostanti, infatti, stanno
subendo – a causa del degrado della zona - un notevole abbassamento del valore
di mercato. Inoltre anche la qualità della nostra vita sociale è peggiorata (molti
amici addirittura hanno paura di venirci a trovare). Come posso procedere
legalmente?
La
problematica rappresentata dal lettore purtroppo non è isolata, ma caratterizza
molte case di proprietà di enti
previdenziali (quali, ad esempio, Enasarco,
Enpaia, Enpam ecc …) non interessate da procedure di dismissione.
Molte
volte, purtroppo, i fabbricati in questione versano in condizioni di incuria e degrado tali da ripercuotersi inevitabilmente sull’intera zona
circostante e, dunque, anche su abitazioni che appartengono ad altre persone,
impedendone la piena fruibilità e determinando il decadimento della qualità
urbana.
Come
riferito dal lettore, i condomini
"in stato di abbandono" sono di proprietà di un ente previdenziale.
Ebbene,
al riguardo, è necessario innanzitutto precisare che essere proprietari di un
bene immobile comporta da un punto di vista giuridico tutta una serie di obblighi.
Obblighi
- nel caso di specie gravanti sull’ente previdenziale - non solamente nei
confronti delle persone più o meno interessate a quell’immobile (come, ad
esempio, nei confronti del conduttore nel caso di locazione, della compagine
condominiale per ciò che concerne le parti comuni, o più semplicemente nei
confronti di chi ci vive all’interno).
Ed
infatti, il dovere di mantenere un
immobile in buono stato ha come destinatari non solo coloro i quali ci
vivono dentro, ma l’intera comunità nel
cui ambito è ubicato l’immobile stesso.
Secondo
la legge [1], in particolare, è
pacifico che il proprietario dell'immobile, conservando la disponibilità giuridica,
e quindi la custodia, delle strutture murarie e degli impianti in esse
conglobati (come cornicioni, tetti, tubature idriche, ecc …), rimane responsabile in via esclusiva dei danni arrecati a terzi da dette
strutture ed impianti.
Al
riguardo, inoltre, l’articolo 58 del
Codice delle Obbligazioni, a cui maggiormente si fa riferimento nei casi
come quello di specie, recita quanto segue: «Il proprietario di un edificio o di un’altra opera è tenuto a risarcire i danni cagionati da un vizio
di costruzione o da un difetto di
manutenzione».
Nel
caso di specie, le condizioni di fatiscenza in cui versano i fabbricati posti
in prossimità al condominio in cui vive il lettore, sono tali da creare tutta
una serie di danni, che – in quanto
tali – dovranno essere risarciti.
Segnatamente,
la situazione descritta è tale da ingenerare danni sia di natura patrimoniale (immediatamente tangibili), sia di natura non patrimoniale.
I danni patrimoniali
In
ordine al primo aspetto, i danni di natura patrimoniale sono facilmente
determinabili e consistono nel c.d. deprezzamento
che stanno subendo le abitazioni dei vicini,
a causa della situazione descritta.
L’impatto
della struttura sul decoro urbano,
infatti, ha degli evidenti riflessi di carattere patrimoniale anche sugli
immobili circostanti, che perdono – inevitabilmente - di valore.
Detta
deminutio
di valore è il risultato di una regola economica elementare, fondata
sul rapporto qualità/prezzo, ove i due parametri sono in
funzione reciproca.
Tale
deprezzamento può facilmente essere accertato attraverso una perizia che stimi il valore degli immobili
appartenenti al vicinato alla luce della riferita situazione di incuria.
Sarà
sufficiente, pertanto, incaricare un esperto di fiducia (architetto o
ingegnere) affinché esegua un sopralluogo
ed, all’esito, metta per iscritto la
riferita situazione di incuria ed i
correlativi danni che la stessa sta cagionando, in termini di deprezzamento,
alle abitazioni circostanti .
I danni non patrimoniali
Come
evidenziato dal lettore, unitamente ai suddetti profili, nella fattispecie
esposta si ravvisano altri elementi di danno - di natura non patrimoniale - altrettanto rilevanti.
Si
tratta dei cosiddetti danni da disagio
abitativo.
L’espressione
è stata coniata dalla giurisprudenza per esprimere il danno esistenziale subito dall’inquilino
a causa del venir meno delle condizioni
di vita gradevoli e socialmente accettabili.
Quanto
detto trova fondamento nel seguente principio giuridico: «il diritto del proprietario a
conservare la gradevolezza dell’abitare non si arresta a ciò che si trova
all’interno della casa ma si espande a tutto il luogo circostante» [2].
Inoltre,
nella circostanza come quella esposta, in cui - a causa della fatiscenza e
dell’abbandono dell’ambiente circostante - vengono compromesse anche le relazioni sociali, il pregiudizio subito è
talmente tanto evidente e manifesto che viene ritenuto sussistente “in re ipsa”, ossia viene riconosciuto
dal Giudice in favore del danneggiato senza che sia necessario fornirne la
prova.
In
ogni caso, il danno può essere dimostrato mediante testimoni (come, ad esempio, gli amici
che riferiscono di aver timore di recarsi a casa del lettore per evitare
pericoli per la propria incolumità) o attraverso prove documentali (fotografie e/o una perizia dello stato dei luoghi), che dimostrino:
- la perdita di valore delle abitazioni poste in zona;
- i cambiamenti in senso peggiorativo che la situazione lamentata ha determinato nella qualità della vita sociale e/o di relazione.
Fornire la prova dei danni significa certamente avvantaggiare il lavoro
del Giudice e serve, soprattutto, a convincerlo nel ritenere sussistente il
danno e, dunque, a disporne il risarcimento.
Per
quanto concerne l’ammontare dei danni, bisogna distinguere:
- il danno patrimoniale: il cui ammontare – come evidenziato – consisterà nel deprezzamento subito dalle abitazioni dei vicini in ragione della situazione di incuria connotante il contesto urbano;
- il danno non patrimoniale, (c.d. danno esistenziale da disagio abitativo) che, riguardando componenti psichiche e spirituali del dolore umano, non può essere predeterminato secondo rigidi schemi. Per tale ragione è importante riuscire a descrivere qual è la portata dell’alterazione, in senso peggiorativo, della qualità della vita subita.
Ciò
posto, il consiglio pratico che diamo al lettore è in primo luogo quello di trasmettere
una lettera di messa in mora nei
confronti dell’ente previdenziale chiedendo:
- il compimento dei necessari interventi di riqualificazione affinché si ponga rimedio alla situazione di degrado in cui versano i fabbricati di cui è proprietario;
- il risarcimento del danno patrimoniale per la perdita di valore subita dagli immobili dicircostanti, per le difficoltà di commercializzazione e tutti gli aspetti patrimoniali legati alla situazione;
- il risarcimento del danno esistenziale, nella forma di danno da disagio abitativo.
Nel
caso di mancato riscontro sarà necessario adire le vie legali per ottenere da
un Giudice il riconoscimento dei suesposti diritti.
Relativamente
ai profili mediatici, inoltre, sarebbe opportuno dare risalto alla questione,
soprattutto al fine di "sensibilizzare" chi di dovere a porre rimedio
alla situazione descritta.
[1] Cfr. artt. 2043 e 2051
c.c.
[2] C. Cass. sentenza
n. 20849 del 11.09.2013 (segnatamente, in tema di immobili abusivi e violazione
delle distanza).
Studio Legale Samperisi&Zarrelli
Produzione riservata
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